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Il nome origami è composto da due ideogrammi, quello del verbo piegare oru, (che, declinato, diventa ori ) e quello di carta kami (che per eufonia diventa gami). Per i giapponesi la carta ha sempre avuto un significato molto profondo. Il fatto che dall’acqua possa nascere il riso e che da esso si possano ricavare delle fibre che diventano morbida carta ha sempre evocato in loro qualcosa di divino.

Poco dopo il suo arrivo dalla Cina cominciarono a modificarla sostituendo le cortecce con cui i cinesi la producevano con le fibre della pianta di riso, rendendola così molto più malleabile e soffice. Iniziarono ben presto a piegarla e ad utilizzarla nei templi shintoisti per attestare la presenza della divinità, dove ancora oggi la si vede ondeggiare bianchissima ripiegata in forme che diremmo a zig-zag (i gohei).

Nel periodo Heian a corte veniva ovviamente utilizzata per scrivere, ma si diffuse presto l’usanza di piegarla in forme sempre nuove e varie per recapitare i messaggi amorosi in modo assolutamente personale.

Per scrivere lettere o poesie era importantissima la scelta della carta che veniva non solo arrotolata, ma piegata in forme sempre nuove. Ancora oggi per i giapponesi la scelta di un biglietto è molto importante, e noi restiamo di solito sconcertati dalia vivacità e bellezza di tante forme e figure che incorniciano in modo unico la loro calligrafia, che già da sola basterebbe...
A quel periodo risalgono inoltre i primi origami usati come segno di buon auspicio, in particolare quelli rappresentanti la farfalla maschio (o cho) e la farfalla femmina (me cho) che ancora oggi sono usati per abbellire le coppe di sake durante le cerimonie shintoiste dei matrimoni, come augurio di felicità.

Nel 1866 così ne parla Enrico Giglioli, nel resoconto del suo viaggio in Giappone sulla regia nave Magenta:

Ho parlato a lungo del cibo e delle abitazioni dei Giapponesi; parlai pure dei loro riti funebri, e ora mi rimane a dir qualche cosa su due altri degli atti solenni della vita, la nascita ed il matrimonio.
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Lo sposo attende la sposa nella sala principale di casa sua, ove sono radunati i congiunti e gli amici. Essa è sempre vestita di seta bianca, con una sottoveste identica e un grande velo sulla testa del medesimo tessuto. Entrando nella sala suddetta essa va a sedere, per quella sola volta, al posto di onore, mentre lo sposo si siede in una parte più bassa dirimpetto a lei, avendo cura di volgere altrove lo sguardo. Sulla parte alta della sala è preparata una refezione sopra due vassoi, circondati da diversi emblemi di unione e amore: così due cutrettole, uccelli che insegnarono ai due kami Izanaghi-no-Mikoto ed Izanami-no-Mikoto (i quali, con Kunitodasci-no-Mikoto crearono, secondo le tradizioni del Paese - il Nippon - l'arte di amare).
Vi sono ancora due bocce di saki: su una è la figura in carta di una farfalla femmina, sull'altra quella di una farfalla maschio. Due donzelle che attendono la sposa versano il contenuto della prima boccia in un bollitoio, avendo previamente cura di porvi accanto la figura dell'insetto femmina sul dorso; si versa quindi il contenuto della seconda boccia, collocando la farfalla maschio sulla femmina. Gli sposi bevono quindi insieme, con cerimonie speciali, parte del vino mescolato, simbolo della loro prossima unione e poco dopo mangiano insieme una minestra particolare e del riso, serviti in tazze dorate e inargentate collocate sopra un vassoio laccato sul quale è raffigurata l'isola di Takasago (ove cresce un vecchio pino a tronco raddoppiato, divenuto simbolo della unita vecchiaia, mentre le sue foglie sempre verdi sono segno di eterna costanza di affetto).