Come noto ormai solamente a pochi anziani nell'arte la nostra Associazione nacque nel lontano 1970 come Accademia Nazionale Italiana di Aikido. Pochi anni dopo un nefasto e per fortuna fallito progetto di legge avente lo scopo di riservare la denominazione di Accademia a enti e associazioni dipendenti dal potente e pervasivo Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), che vagheggiava attraverso alcune sue federazioni una riunificazione e omologazione del variegato mondo delle arti marziali in chiave esclusivamente sportiva, costringeva a cambiare la ragione sociale.

L'obiettivo di raggiungere il riconoscimento della personalità giuridica dell'Associazione da parte dello stato, prendendo allo stesso tempo le distanze da una impostazione agonistica, suggerì la denominazione di Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese – Aikikai d'Italia. Aikikai significa come si spera molti sappiano Associazione dell'Armonia dello Spirito mentre aikidō ha il significato di via dell'armonia dello spirito, ove spirito va inteso nel senso di spirito vitale, energia immanente nell'essere umano e nell'universo tutto, assumendo un significato solo apparentemente contraddittorio di spirito materiale.

Negli anni seguenti, e fino ai nostri giorni, da vari indizi era possibile intuire che tale denominazione era considerata da molti non esclusi diversi associati un poco abusiva, avendo occupato una posizione che sarebbe stata meglio presidiata da altri tipi di associazione. Da parte di alcuni infatti è stato ritenuto a lungo e forse si ritiene ancora che il riferimento alla cultura sia stato nulla più che un espediente per ottenere il mero diritto all'esistenza e al riconoscimento, per ritenersi liberi poi di disinteressarsi della cultura e dedicare le proprie energie solamente alla pratica - non diciamo per carità lo studio - dell'aikidō. Che in fin dei conti non avrebbe nemmeno molte frecce al proprio arco per essere considerato disciplina tradizionale, essendo nato solamente nel XX secolo.

Tutto questo non è esatto, anche se va immediatamente riconosciuto che l'Associazione ha fatto molto meno di quanto avrebbe potuto fare per rendere visibile il proprio patrimonio.

La maggior parte delle associazioni interessate a un certo tipo di cultura giapponese è infatti elitaria, dedicandosi alla pratica di discipline che rifuggono per la loro stessa natura da una vasta diffusione, e nemmeno cercano più di tanto di essere conosciute "al di fuori". Cito come unico esempio il chanoyu, la cosidetta cerimonia del the: ormai largamente ma superficialmente conosciuta si pratica tuttavia per scelta deliberata in piccoli locali che possono accogliere un numero limitato di persone e senza imporre alla pratica concessioni mirate a un maggiore afflusso di praticantii. In altre casistiche le associazioni culturali nippofile si dedicano alla organizzazione di eventi in cui si possa prendere contatto con la cultura giapponese, in tutti i suoi molteplici e affascinanti aspetti, ma in qualità soprattutto di osservatori e non di partecipanti del gesto artistico.

Non ci si può quindi rammaricare di una impostazione elitaria, strutturalmente necessaria all'insegnamento e trasmissione della cultura giapponese. Tuttavia per quanto riguarda il fermento culturale in cui nasce e prospera ogni arte l'Aikikai d'Italia sembra assente o perlomeno distratta. Sembra che si pratichi (e si studi?) solamente aikidō. Solamente aikidō .

In realtà non è così: per quanto manchino o non siano visibili a tutti fenomeni di approfondimento organizzato della cultura tradizionale, ogni membro dell'associazione che abbia superato il grado del noviziato rimane esposto in varie modalità e con differenti gradi di coinvolgimento, determinati dalle sue scelte personali, alla cultura giapponese in senso lato. Partendo dalla pratica dell'aikidō molti associati hanno intrapreso per esempio lo studio della lingua giapponese, alcuni arrivando al punto di diventarne docenti, altri perfezionano la loro conoscenza dell'origami o dello shodō o dello shiatsu ottenendo significativi riconoscimenti o facendone addirittura la propria professione. Mancano certamente e non dovrebbero mancare analisi dettagliate, quantificazioni e valutazioni qualitative di questi fenomeni.

Dovremmo innanzitutto però prendere in considerazione due differenti fattori.

Il primo - essenziale - va sottolineato: nell'Aikikai d'Italia non si va a "vedere" la cultura giapponese come accade in occasioni di pur importanti e imperdibili eventi culturali. Non la si va a "leggere" attraverso pubblicazioni ben documentate, pur raccomandabile che sia anche questo tipo di approccio. La si vive quotidianamente attraverso una azione materiale, pur non escludendo il processo della contemplazione e riflessione, che segue d'ordinario quanto fatto ma anche talvolta deve precederlo. E questo è un metodo tipico della cultura tradizionale giapponese, che non sempre si riesce ad applicare quando si partecipa ad eventi puntuali in cui si rimane semplici spettatori. L'aikidō appartiene alla prima categoria delle arti tradizionali giapponesi cui ho prima accennato: è un'arte che non produce risultati materiali come la pittura o la poesia, è un'arte che si esaurisce nel momento stesso in cui viene compiuto il gesto artistico come nel chanoyu. Ma questa apparente debolezza, questa mancanza di legami materiali permette tuttavia un rinnovamento quotidiano lungo quanto la vita. O forse vi obbliga: ma non cambia per questo nulla. Non potendo attingere alcun obiettivo materiale, si è costretti a perseguire un obiettivo immateriale e interiore. Ed è forse il timore inespresso di inquinare questa specificità accostandosi a discipline rette da regole diverse che frena - e forse a torto - alcuni.

Il secondo aspetto, e anche questo non sembra valutato e apprezzato quanto meriterebbe, è la larga diffusione, che non va confusa con la popolarizzazione, dell'aikidō. Se l'arte ha fatto alcune concessioni apparentemente finalizzate a una maggiore diffusione è stato non subendo influenze esterne ma per decisione autonoma che ha invece avuto, in definitiva, soprattutto motivazioni differenti dall'aumento della base dei praticanti. La progressiva riduzione delle tecniche di combattimento vero e proprio, sostituite da un numero maggiore di tecniche di cooperazione, ha sì la conseguenza collaterale di venire incontro a una platea di praticanti differente e più vasta di quella che inizialmente si era indirizzata all'aikidō, ma l'unico scopo cui è indirizzata è quello di offrire al praticante non una agevolazione attraverso l'abbandono dei moduli didattici più ostici ma al contrario un ulteriore stimolo ad approfondire le proprie ricerche e indirizzarle verso obiettivi più alti, meno "materiali" e quindi ancora più ardui.

Qualunque ne siano le concause, se ne potrà discutere ancora, l'aikidō ha conosciuto anche grazie a questa sensibilità nell'adeguarsi ai tempi una diffusione notevole in ogni parte del mondo, associata a una importante crescita qualitativa. Dovute entrambe alla intinseca bellezza dell'arte e non a fattori contingenti. Nell'Aikikai d'Italia sono presenti al momento, salvo errori od omissioni, cinque insegnanti italiani di aikidō , arte moderna che tuttavia affonda le proprie radici in millenni di cultura tradizionale giapponese, aventi il grado di settimo dan (ricordo che il massimo grado tecnico è l'ottavo). Gli insegnanti di grado sesto dan sono circa quaranta e poco meno di cinquanta quelli di grado quinto dan. Dire che nell'Aikikai d'Italia in realtà non ci si occupa di cultura tradizionale giapponese, alla luce di queste cifre, sembra in definitiva insostenibile. Le scuole affiliate sono circa 250, e vi opera un numero di insegnanti probabilmente almeno doppio, tenendo conto anche dei coadiutori e non solo dei responsabili di dojo.

Gli iscritti all'Associazione sono circa seimila, con un leggero recente calo fisiologico dovuto alla crisi economica che pesa soprattutto tra gli adulti, quasi compensato numericamente dall'aumento negli ultimi anni di bambini e adolescenti. Pur considerando con preoccupazione l'importante calo di interesse da parte dei giovani, che d'altra parte sembrano a volte non interessarsi più a nulla, sono numeri importanti. E' difficile che molte altre associazioni interessate alla cultura del sol levante possano arrivare a tali numeri.

Ritornando al problema dell'abbandono o del disinteresse focalizzato in alcune fasce di età, che in passato costituivano invece il nerbo dei praticanti: esisteva in passato un notevole fenomeno di rotazione tra i nostri iscritti, principalmente per ragioni anagrafiche. Non tutti comprendevano che l'aikidō può essere per sempre, e abbandonavano con l'avanzare dell'età. Ora questo fenomeno si va riducendo, mentre aumenta l'età media dei praticanti; forse anche troppo.

Ma possiamo comunque legittimamente sostenere che  la nostra Associazione, esistendo ormai da più di cinquanta anni, ha permesso a molte decine di migliaia di praticanti non solo di avvicinarsi alla cultura giapponese per gettarvi uno sguardo, ma di viverla sulla propria pelle, e di farla propria. E sappiamo che l'aikidō , una volta "inoculato", continua per sempre a vivere nell'interno di queste persone.

E' ora di fare qualche numero, anzi rifarli dato che sta diventando un mio chiodo fisso e ne parlo sempre più spesso: analizzando sommariamente l'archivio degli iscritti all'Aikikai d'Italia negli anni 1985-2010, di cui ho alcune copie di sicurezza in quanto autore del programma di gestione utilizzato in quegli anni, vedo registrate quasi 110.00 iscrizioni annuali, da parte di circa 46.000 persone differenti. Proiettando questo dato sugli anni non coperti da questa succinta statistica si può concludere che si siano immersi nella cultura giapponese attraverso l'Aikikai d'Italia grossomodo 60.000 persone. E' un patrimonio importante, che è giusto rivendicare. Non per rivendicarne il possesso: solamente per stabilire con certezza a che punto siamo e da lì guardare avanti. Sarebbe forse opportuno che all'interno della nostra Associazione si approfondisse questa tematica. Io senzaltro sono di questo parere.

Come disse alcuni secoli fa uno dei più grandi rappresentanti della cultura e dell'arte italiana, con parole che il Direttore Didattico dell'Aikikai d'Italia ama citare:

Quelli che s'innamorano di pratica sanza scienza, son come 'l nocchiere ch'entra in navilio sanza timone o bussola, che mai ha certezza ove si vada

Leonardo Da VInci