Kaibara Ekiken: Yojokun (Life Lessons from a Samurai)
Traduzione in inglese di William Scott Wilson
Kodansha, 2008, ISBN 978-4-7700-3077-1-51995
Kaibara Ekiken (貝原 益軒, 1630-1714) apparteneva ad una famiglia di samurai al servizio del clan Kuroda nel feudo di Fukuoka, in un'epoca in cui i samurai ricoprivano anche incarichi amministrativi dopo aver soprattutto gestito la guerra nelle generazioni precedenti: un suo avo ad esempio era uno dei migliori luogotenenti del grande Takeda Shingen. Ma Kaibara Ekiken era innanzitutto medico e scienziato: rimangono di lui numerosi testi che si occupano prevalentemente di geografia e di scienze naturali, tra cui il Yamato Honzo (Piante del Giappone) che è tuttora un testo di riferimento. Si occupò nel corso della sua vita tranquillamente avventurosa (viaggiò moltissimo e per un certo periodo fu anche ronin) di tutelare e curare la salute fisica, mentale e spirituale dei samurai del suo clan. Al termine della vita terrena, giunto ad 84 anni, raccolse nelo Yojokun (Lezioni di educazione alla vita, o anche Lezioni di alimentazione della vita) numerosi precetti provenienti sia dalle sue esperienze pratiche che dai classici cinesi, soprattutto il Huang Ti Nei Ching Su Wen, conosciuto in Giappone col titolo di Somon e risalente probabilmente al primo millennio a.C.
Il suo testo è indirizzato esplicitamente alla classe guerriera, forte di conseguenza la tentazione di classificarlo come destinato prevalentemente ai cultori di arti marziali. Ma è a tutti gli effetti un classico, non fosse altro perché ci separano circa tre secoli dalla sua stesura, e di conseguenza numerose generazioni lo hanno utlizzato come prezioso strumento per orientarsi nel difficile cammino del samurai.
Il punto di vista di Kaibara, preservare il corpo e la mente del samurai, potrebbe sembrare paradossalmente contrapposto a quello di molti altri testi classici che esaltano l'importanza dell'abbandono senza rimpianti della vita terrena. Ne è invece complementare: è vero che il samurai deve essere pronto in ogni momento ad abbandonare la vita senza alcun rimpianto, ma è altrettanto vero che deve farlo solo a ragion veduta, senza venir mai meno ad un altro impegno, non meno importante e che richiede una applicazione costante lungo tutto l'arco della vita stessa: il dovere di mantenersi attraverso una corretta cura del proprio ki, della propria energia vitale, nelle migliori condizioni possibili per assolvere al meglio il proprio dovere nei confronti del clan, che ha a sua volta il dovere di condurre il gruppo di esseri umani di cui si compone a raggiungere, mantenere e trasmettere i propri ideali di vita.
Oltretutto va osservato che il dono della vita viene sminuito quando viene fatto dono di un corpo e di una mente trattati con indolenza e trascuratezza, di una vita in cui troppo poco si è compiuto per correre invece appresso ai propri disagi e ai propri malesseri.
L'edizione in ingelse dello Yojokun di William Scott Wilson, va detto subito, non è integrale in quanto non comprende la parte più specialistica ove si elencavano i metodi e la farmacopea che il medico deve adottare nella cura dei malati e nel mantenimento della salute delle persone sane, anche essi attinti prevalentemente dai testi classici cinesi. Ma c'è ugualmente molta materia su cui riflettere, e forse quella più interessante. Kaibara Ekiken analizza lucidamente l'enorme importanza del giusto equilibrio della forza vitale - ki - nelle sue principali componenti - yin e yang - e nelle sue infinite combinazioni, come ci ricorda questo antico testo:
Ascolta, le quattro stagioni, lo yin e lo yang sono i fondamenti di tutte le Diecimila Cose. Di conseguenza, il saggio coltiverà il suo yang in primavera ed estate, il suo yin in autunno ed inverno, per seguire il vero cammino delle cose.
La prima lezione che viene dalle pagine di questo libro - scritto da un saggio del lontano passato e appartenente ad una civiltà lontana dalla nostra ma a cui cerchiamo di avvicinarci - è che l'uomo "privo di superficialità" e in grado di conservare al meglio il proprio equilibrio mentale, spirituale e fisico, non dovrà combattere contro i suoi nemici ma li terrà naturalmente lontani dalla sua strada, e mantenendo un appropriato equilibrio interno si inserirà naturalmente nell'armonia dell'universo.
La seconda, e forse quella più importante, è appunto che il saggio deve avere piena coscienza non solo di sé stesso ma anche dell'universo e delle forze che vi agiscono, comprendere appieno che cosa agevoli il suo cammino e che cosa lo ritardi, lo ostacoli, lo devii, e non limitandosi a prendere nota di ogni singola azione e relativa reazione, ma comprendere anche i principi basilari che regolano queste interazioni. In altre parole, quello che nella nostra civiltà Dante Alighieri fa dire ad Ulisse, eroe sfortunato quanto grande che perse la vita ma guadagnò eterna fama nel seguire fino in fondo con coerenza quanto aveva richiesto ai suoi seguaci:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
Dante Alighieri, Divina Commedia
Inferno, canto XXVI, 119-120
Composto negli anni 1305-1310 circa