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Dai bosatsu Toge - The sword of doom
(La spada maledetta)
Kihachi Okamoto
Tatsuya Nakadai, Toshiro Mifune, Michiyo Aratama

 

Okamoto assembla in questo film praticamente tutti gli stilemi del genere chambara che andavano maggiormente in voga nel periodo in cui l'opera venne concepita. Che, anche fosse solo per questo, merita una visione.

Un samurai di grande valore e dalla tecnica ineccepibile non ha tuttavia una grandezza d'animo pari alle sue ambizioni. Lo perderanno l'abbandono progressivo di ogni scrupolo, la lenta ed inarrestabile resa alle sue passioni ed alle sue debolezze, prime fra tutte le donne ed il sake.

A fare da contraltare alla sua figura negativa quella di un maestro d'armi integerrimo ed inflessibile, con se stesso e con gli altri, che avrebbe potuto essergli di esempio e di guida e verrà invece visto come antagonista e nemico, pur senza avere il coraggio di portare fino alle estreme conseguenze materiali questo scontro ideologico.

Due straordinari interpreti, Tatsuya Nakadai e Toshiro Mifune, incarnano i due personaggi ed in qualche modo elevano il film al di sopra delle sue stesse, non elevate, ambizioni.

Tratto da una lunga serie di Nakazato Kaizan pubblicata a puntate tra il 1913 ed il 1930 circa ed ambientato nel 1860, nel momento del crollo rovinoso della civiltà Edo, il film narra la tragica vicenda del samurai Ryunosuke Tsukue (Tatsuya Nakadai), lasciando sullo sfondo i grandi e traumatici cambiamenti epocali di quei giorni. La scena iniziale ci mostra un anziano pellegrino che sosta in preghiera presso un cippo sacro, sul passo che sta valicando per recarsi ad Edo assieme alla nipote, che si è allontanata per prendere acqua. Un samurai dal volto coperto si avvicina, senza nulla dire. Estrae la spada e lo uccide. Si allontana poi con indifferenza.

Era questa una delle leggende metropolitane maggiormente diffuse: che i samurai malvagi usassero uccidere innocenti passanti al solo scopo di provare le loro spade. Vera o falsa che fosse questa diceria, serve egregiamente a presentarci il personaggio negativo che animerà la vicenda.

Tsukue era l'erede designato di una importante scuola di spada, il Kogen ryu, e quel giorno è atteso ad un impegnativo confronto con Utsugi Gonnojo che ne ha preso il posto dopo la sua espulsione. Tutti lo scongiurano di lasciar vincere Utsugi, che così verrà nominato istruttore del feudo dando lustro alla scuola, mentre lui non ha nulla da guadagnare ma nemmeno nulla perderà con una onorevole sconfitta.

Sordo ad ogni pressione, Ryunosuke Tsukue acconsente però alle preghiere di O Hama (Michiyo Aratama), che si presenta come sorella del suo avversario. Ne è in realtà la moglie. Non era facile convincerlo, ma il prezzo offerto dalla donna era alto: se stessa.

Tra gli spettatori dell'incontro gli sceneggiatori pongono una figura storica: Isami Kondo, che attira l'attenzione degli altri mostrando occhio infallibile nel giudicare le stoccate. Fu uno dei comandanti della milizia Shinsengumi, che in quei tumultuosi tempi difese la causa dello shogun nella città di Kyoto, combattendo sanguinose battaglie contro le forze legate all'imperatore.

Potremmo paragonare la sua apparizione a quella di un Nino Bixio nella trama di un'opera avventurosa ambientata nell'800 italiano o dello sceriffo Wyatt Earp in un film western che non parli espressamente di lui.

Un richiamo per il pubblico, indubbiamente. Ma che può essere colto solo da un pubblico che abbia dimestichezza con la cultura in cui è nato questo film.

I due contendenti si affrontano all'uso antico, senza protezioni ed impugnando il bokuto di legno di quercia, non lo shinai di bambu che evita il rischio di ferite mortali.

Rimangono a lungo nelle rispettive guardie, aggressiva quella jodan (alta) di Utsugi, insidiosamente aperta quella gedan (bassa) di Tsukue. Dopo un tempo che sembra interminabile l'arbitro ordina il mate ma proprio in quel momento Utsugi attacca, in violazione delle regole. Sembra che Tsukue si defili semplicemente  lasciandolo passare e poi cadere rovinosamente al suolo sullo slancio.

 

 

In realtà ha istintivamente reagito all'attacco colpendo l'avversario in fronte ed uccidendolo.

Rimarrà questa probabilmente l'unica occasione in cui non ha nessuna colpa in quanto successo, ma il suo comportamento arrogante, la sua mancanza di pietà verso la vittima, gli alienano le simpatie di chi ha modo di parlare con lui.

Riscuote in cambio incondizionata ammirazione da chi ha solamente visto all'opera la sua maestria con la spada.

 

 

 

 

Gli adepti del Kogen Itto ryu decidono di vendicarsi tendendo un agguato a Ryunosuke, invano messo in guardia da Hama, che gli chiede di sottrarsi al pericolo e lasciare il feudo assieme a lei, rimasta sola.

Ryunosuke non ritiene di avere nulla da rimproverarsi, ed avanza imperturbabile in mezzo al nugolo di uomini che lo attende con le spade sguainate, tra le nebbie della foresta.

Li esorta a desistere, ricordando anche a loro che non ha nessun torto di cui rendere conto, è stato anzi lui ad essere attaccato proditoriamente.

 

 

Ryunosuke è uomo di spada di maestria non comune. Per quanto numerosi e per quanto ben addestrati gli assalitori non hanno alcuna possibilità contro di lui, che adotta la sua consueta tattica rinunciataria, lasciando agli avversari l'impressione di essere una facile preda ma colpendo fulmineo ed infallibile chiunque osi avvicinarsi.

Terminato il suo macabro compito, senza dare mostra di alcuna emozione, Ryunosuke si allontana e scompare nella nebbia, diretto verso una nuova fase della sua vita, lontano dal feudo.

Le frequenti scritte che appaiono in sovraimpressione scandiscono il ritmo della narrazione dando un punto di riferimento allo spettatore in grado di coglierlo.

In questa occasione la scritta rammenta che ci troviamo nel tempo in cui avvenne l'agguato di Sakashitamon ai danni di Ando Nobumasa. Nobumasa era uno dei molti funzionari che furono bersaglio di attentati durante il cruento crollo del governo progressista Tokugawa, che accettava l'apertura del Giappone alle potenze occidentali. Il potere sarebbe poi ritornato all'imperatore - il giovanissimo Mutsuhito (Meiji) - appoggiato dai tradizionalisti. Costoro erano spesso fanatici che rifiutavano ogni compromesso ed ogni apertura e preferivano eliminare a colpi di spada le figure di spicco del campo avverso. Sappiamo quindi quindi sulla scorta di questo dato che il seguito della vicenda si svolge nel 1862.