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Al termine della folle corsa, Tajomaru non è ancora pronto a cogliere il frutto della sua attesa, del suo complotto, della sua lotta.

Si attarda ancora celato dietro ai cespugli a guardare la donna, non visto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per la prima volta vediamo in volto Masako (Machiko Kyo): è giovanissima, terrorizzata.

Ma l'apparente fragilità della donna cela una grande forza di volontà

Tajomaru è comparso all'improvviso, dicendole che il marito è stato morso da un serpe velenosa, occorre andarlo a soccorrere.

La donna, nei ricordi del bandito, appariva come una statua di ghiaccio, pallida per l'angoscia.

Tajomaru era stato colto da una folle invidia, da una assurda gelosia, e l'aveva trascinata di corsa fino al luogo dove aveva lasciato saldamente legato il samurai.

Qui, di fronte a lui, dove ha voluto andare in segno di spregio, diventano finalmente manifeste le sue intenzioni

 

 

 

Masako estrae il kwaiken, il pugnale che ogni donna samurai porta con sé, celato nelle vesti, e si difende strenuamente.

Tajomaru inizialmente è in difficoltà: la donna sa maneggiare l'arma, lo ferisce.

Questo paradossalmente non ha altro effetto che aumentare la sua determinazione ed il suo desiderio.

La lotta non è solo fisica, è soprattutto psicologica, e alla lunga non può che avere un esito scontato.

Dapprima le parti imprevedibilmente si capovolgono: è Masako che dà la caccia al bandito, tentando di ucciderlo.

Ma Tajomaru si sottrae facilmente agli attacchi rinunciando all'assalto frontale.

Logorerà la sua vittima sia fisicamente che mentalmente, lasciandole comprendere che nulla e nessuno potrà sottrarla al suo detino, che ogni resistenza è inutile.

Giocando in definitiva con lei come il gatto col topo.

Durante i suoi disperati assalti Masako piange ininterrrottamente.

Alla fine dovrà desistere, spossata, senza più alcuna energia, capacità o volontà di resistere, lasciandosi cadere al suolo.

Tajomaru è su di lei.

La macchina da presa inquadra ancora una volta il disco solare, che appare tra il fogliame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Masako ha un ultimo disperato guizzo di resistenza.

Non ha abbandonato il pugnale, ha continuato a tenerlo spasmodicamente stretto nella mano.

Ora lo alza, sta per vibrare un colpo mortale. Ma la mano di Tajomaru le afferra il polso, lo blocca, lo stringe con forza.

Lentamente, il pugnale scivola dalla mano e cade al suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mano di Masako, oramai priva di ogni arma, simbolo della sua mente oramai incapace di opporsi alla violenza, avvinghia la schiena di Tajomaru.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto si è compiuto.

Il bandito sta per andarsene, soddisfatto di sé, dopo aver portato a termine con pieno successo tutto quello che si era prefisso.

Masako si aggrappa ancora a lui: non può andar via così, lasciandola nel disonore.

La sua richiesta è terribile, ma terribilmente logica, e non è nemmeno lei ad avanzare la richiesta, ma il destino.

Uno dei due uomini deve morire.

 

 

 

 

 

 

 

Morirà il bandito, unico testimone oltre che autore dell'oltraggio, o morirà il samurai.

Masako seguirà allora le sorti del bandito, diventando la sua donna.

Tajomaru esita a lungo.

Il samurai, impotente, legato, si limita ad osservare, impenetrabile. Anche lui sembra tramutato in una statua di ghiaccio.

Dopo una lunga esitazine, Tajomaru gli si avvicina, estraendo lo tsurugi.

Senza dire nulla, taglia i legami e rende al samurai il suo lungo tachi.

 

 

 

 

 

Lo scontro è violento, inzialmente senza alcuna tattica, senza alcun tentativo di dilazionarne l'esito, senza riguardo per la propria vita.

I due uomini vogliono ferocemente uccidersi l'un l'altro, ed in questo momento è una loro faccenda che nulla ha più a che fare con la donna.

E' solo la volontà selvaggia di due animali che lottano per la supremazia.

Gradualmente la personalità selvaggia ed imprevedibile di Tajomaru, come già successo nei confronti della donna, prevale sulla fredda tecnica e sulla dissennata rabbia del samura.

Entrando in un insanabile conflitto interno, renderà sé stesso una facile preda.

 

 

 

 

Al termine della cruenta lotta, Tajomaru infine lo abbatte, là dove poi lo troverà il boscaiolo.

La rappresentazione del duello appare realistica alla stragrande maggioranza degli spettatori, ma glli esperti di spada la troveranno poco verosimile.

Agli effetti artistici non ha eccessiva importanza, sulla scena è sufficiente apparire realistici allo spettatore medio, e già questa scena è molto più attendibile di quelle visibili nelle opere coeve. Inoltre va ricordato che l'azione si svolge intorno al XIII secolo, almeno 300 anni prima delle scuole di spada che si sono tramandate fino ad oggi.

Non poteva però ugualmente essere del tutto soddisfatto Akira Kuroswawa. Sappiamo dalla sua biografia che era stato un appassionato praticante di kendo, arte che lo stesso Mifune ha continuato a praticare per tutta la vita.

Nella sua successiva opera jidai, I sette samurai, Kurosawa chiese al Ministero della Pubblica istruzione che gli fossero indicati dei consulenti in grado di guidare sceneggiatori ed attori nelle scene di combattimento. Vennero designati come tateshi i maestri Yunzo Sasamori (Hana ha Itto ryu) e Yoshio Sugino (Katori Shinto ryu ed Aikido). Questultimo continuò poi per molti anni la collaborazione con Kurosawa.

Concludendo il suo racconto Tajomaru rivendica con orgoglio l'epicità del combattimento.

Solo dopo 23 assalti è riuscito ad avere ragione del suo avversario: non aveva mai rovato alcuno in vita sua che riuscisse ad opporgli tanta ostinata resistenza.

Quanto alla donna, poco gliene importa.

Terminato il duello, si era improvvisamente reso conto che lei non era più là. Era come scomparsa nel nulla.

Ma quell'insano e folle desiderio che lo aveva portato al delitto, così improvvisamente come era venuto, improvvisamente era scomparso.

Scomparso nel nulla come era scomparsa la donna.

 

 

 

Qualcosa non torna al giudice: sulla scena del delitto non è stato ritrovato il pugnale. Tajomaru ne sa qualcosa?

No. Solo in quel momento se ne ricorda. La spada l'ha prontamente venduta, ricavandone una bella cifra.

Del pugnale se ne era completamente dimenticato, lasciandolo sul posto. Eppure doveva essere anche quello un oggetto di grande valore.

Tajomaru è molto divertito di questa sua inspiegabile dimenticanza, ma non può risolvere il mistero della sparizione.