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Dora Heita farà un uso limitato del suo addestramento marziale, limitandosi a disarmare e stordire i numerosi aggressori. Salvo estrarre finalmente la spada quando viene aggredito da un numero irrealistico di malvimenti, con intento chiaramente satirico contro gli eccessi sanguinolenti di certo cinema chambara ed ovviamente annientandoli tutti, dal primo all'ultimo.

Saggiamente Ichikawa, non disponendo di protagonisti credibili marzialmente come i grandi Mifune e Nakadai sfuma le scene di combattimento e lascia immaginare più che mostrare.

Per i praticanti di arti marziali segnaliamo che le tecniche di disarmo ed atterramento mostrate sembrano spesso varianti più o meno credibili de kotegaeshi dell'aikido, indecifrabili invece le tecniche di proiezione, salvo un momento in cui si può ipotizzare un empinage di aikido o più probabilmente un seoinage di judo, mentre i combattimenti di spada sono avvolti dal buio della notte e lasciano quasi tutto all'immaginazione.

L'approccio di Ichikawa ci sembra saggio: la diffusione della cultura marziale, ormai capillare, non consente più le licenze poetiche del passato. meglio allora astenersi dai trucchi mirabolanti ed alludere, più che tentare di esibire quello che non si ha.

Dopo aver dimostrato di avere capacità di indagine, coraggio al limite della temerarietà e grandi doti di combatente, Dora Heita è solo a metà del compimento della sua missione: l'elite corrotta che ha trascinato al degrado la città deve essere chiamata a pagare. Dietro la perfezione formale dei loro abiti, dei loro gesti, del loro parlare - della loro etichetta insomma - si cela il male assoluto.

La sentenza di Dora Heita è allo stesso tempo più mite e più dura del previsto: non la prigione, segno tangibile di infamia ma soluzione comoda, che esonera dal riparare al male fatto o anche dal sopportarne le conseguenze, ma l'esilio. Esilio dalla terra e dalla casta, costretti a cominciare una nuova vita subendo quello che fino ad allora hanno inflitto ad altri.

Malvagi e corrotti, gli uomini che Dora Heita ha di fronte non sono comunque sciocchi. Capiscono immediatamente la gravità della pena, e si oppongono, minacciano ricorsi.

Dora Heita ha già pronta una alternativa, e ha predisposto nel cortile tutto quanto serve per metterla in atto: chi vuole può sottrarsi sia al disonore che agli stenti di una vita "normale" ponendo fine ai suoi giorni con un onorevole seppuku.

Le nude lame sono già là che attendono. Ma atenderanno invano, i dignitari preferiranno tutti l'esilio.

 

 

Al termine della sua missione, come tutti gli eroi di queste storie, Dora Heita riprende le sue cose, volge le spalle al villaggio e se ne va senza indugi e senza rimorsi per il suo destino. I burocrati incricati di tenere aggiornato il fascicolo non si sono nel frattempo accorti di nulla: la loro ultima annotazione sul registro è che Mochizuki Koheita durante il periodo del suo mandato non si è mai presentato una sola volta in ufficio, rappresentando in definitiva anche da quel lato un caso unico.

Non che la cosa li meravigli più di tanto o che pensino per questo di dover fare qualcosa: per i burocrati la sola cosa che conta è che i moduli giusti siano debitamente compilati.

 

 

La figura femminile rimane in secondo piano in questa opera, come quasi sempre nel cinema chambara (o jidai), dedicato quasi sempre all'azione.

Tuttavia Ichikawa preferisce sfumare sarcasticamente la chiusura su una imprevista fuga di Dora heita di fronte ad un nemico più forte di lui.

La sua donna Kosei (Yuko Asano) che abbandonando Edo è riuscito a scovarlo fin lì e lo segue dappertutto, intralciandone ovviamente i piani.

Dora Heita non abbandona il paese ormai pacificato e sanato accompagnato dalle note di una musica trionfale: si dà vigliaccamente alla fuga inseguito da Kosei. E sappiamo, ovviamente, che ben presto verrà raggiunto e catturato.

O, più probabilmente, che si lascerà docilmente catturare, come in fondo tanti gatti randagi vogliono.

Per esserne sicuro il regista prende le sue precauzioni: invece del focoso destriero che sarebbe stato necessario, Dora Heita compra da un mercante di soja un bolso ronzino che indifferente ai colpi di sprone potrà essere facilmente raggiunto anche da una "fragile donna".

Termina qui l'opera. Un divertissement, un intervallo ricreativo in mezzo alle molte opere "impegnate" di Ichikawa? Eppure sappiamo che l'idea nasce dalla mente di quattro grandi artisti, che non hanno mai trascurato in alcuna loro opera di puntare su temi importanti, e non sembra credibile che Ichikawa nel rendere omaggio alla memoria dei suoi compagni d'arte abbia voluto tradire le loro intenzioni. Insomma: un'opera che dovremmo guardare con maggiore attenzione, che dice più di quanto appare all'occhio distratto dello spettatore comune?

P.S.:

Rivedere queste opere assieme al maestro Hideki Hosokawa aggiunge sempre preziose osservazioni: molte sfumature sfuggono all'osservatore occidentale, come probabilmente sfuggirebbero ad ogni giapponese "moderno" che non avesse una profonda cultura sul passato della sua nazione. Le reazioni del maestro indicano frequentemente quello che prima ci era sfuggito o ci sembrava marginale, non importante. Dora heita in particolare potrebbe anche essere interpretato come una delicata e tutto sommato affettuosa satira di alcune esagerazioni formali dell'etichetta giapponese che fanno perdere di vista la realtà, e che debbono essere ricondotte sui giusti binari da provocatorie e deliberate "anarchie" da parte di persone che sappiano mettere gli strumenti al servizio dell'uomo e non viceversa.

Meriterebbe un discorso a parte la posizione della donna in epoca Edo; per quanto si tratti soprattutto di un'epoca avventurosa - nonostante la denominazione di "pax Tokugawa" - e quindi le opere che trattano di quell'epoca siano piene di azione e lascino spesso la donna in posizione defilata, il loro spazio vitale è molto più vasto di quello che sembri, ed il loro "potere" si estende molto al di là di quello che indicherebbero le apparenze.

Quando appare Kosei di fronte a Dora heita, ma anche Karu di fronte al carismatico Oishi Kuranosuke nei 47 ronin, sempre di Ichikawa, dovremmo capire fin dal primo attimo, da precisi ed inequivocabili segnali, che quelle fragili donne dal sorriso sempre pronto, apparentemente dimesse e sottomesse, comanderanno con mano ferma gli uomini senza che questi possano o vogliano fare nulla di più che abbandonarsi a plateali reazioni, tanto più vistose ed inutili quanto più si rendono conto di avere incontrato una volontà più forte ed allo stesso tempo più serena della loro.