Shigeru Mizuki

Enciclopedia dei mostri giapponesi

Kappa Edizioni,  2009

Shigeru Mizuki, nato nel 1922 nella città di Sakaiminato nella prefettura di Tottori, è un artista mangaka di fama mondiale. La sua vita ed il suo percorso artistico vennero segnati dalla tragica esperienza della guerra, durante la quale contrasse la malaria, perse poi il braccio sinistro durante un bombardamento e divenne infine prigioniero. Sono frequenti infatti nelle sue opere i riferimenti agli orrori della guerra e alle degenerazioni dell'animo umano. Ha scritto anche la Enciclopedia degli spiriti giapponesi.

 

 

 

 

 

 

Al termine della guerra  Mizuki pensò di trattenersi nella Nuova Guinea dove aveva combattuto, e dove nel frattempo aveva costruito una famiglia, ma venne convinto a rientrare in Giappone per salutare un'ultima volta i suoi familiari e rendere loro conto della sua decisione.

Le difficili circostanze del dopoguerra gli impedirono tuttavia il rientro: solamente nel 2003 poté tornare a visitare l'isola, ricevendo una accoglienza trionfale dovuta alla fama conquistata nel frattempo. Dopo essersi trasferito a Tokyo ed aver lavorato come operatore di macchina in teatro iniziò la sua carriera creativa nei manga a noleggio, un genere produttivo squisitamente giapponese, prodotto su commissione e tirato in un numero limitato di copie. La maggior parte di questa produzione, di Mizuki come di altri artisti, è andata perduta.

La sua prima pubblicazione ufficiale risale al 1957 con Rocketman e tra gli altri suoi manga vanno ricordati Hakaba Kitaro, Akuma Kun, Yamato, Kappa no Sanpei. E' considerato il maestro assoluto del genere yokai, in cui sono protagonisti spettri, mostri e personaggi soprannaturali, e nel corso della sua carriera ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti. E' anche un apprezzato scrittore, e tra le opere maggiori vanno ricordate la sua autobiografia e le sue memorie del tempo di guerra.

Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive narrando non solo la sua vita di artista ma anche quella quotidiana, ed ha impersonato se stesso in una opera del noto regista Takashi Miike.

Va da se che nessuno meglio di Mizuki poteva dedicarsi ad una Enciclopedia dei mostri giapponesi, pubblicata in Giappone nel 1994 (Kodansha) ed in Italia nel 2009. E' disponibile sia in 2 volumi che in edizione integrale in unico tomo, consigliabile per il prezzo più vantaggioso e per l'ovvia opportunità di portare sempre con se l'opera completa, di circa 500 pagine ma di formato tutto sommato non eccessivo: solamente il notevole spessore impedisce di considerarla tascabile. La traduzione della prima parte (A-K) è di Keiko Ichiguchi e della seconda parte ((M-Z) di Emilio Mortini. Dello stesso autore, e sempre pubblicata in italiano da Kappa edizioni, la Enciclopedia degli spiriti giapponesi.

Iniziando a pagina 9 con Abura Akago, un mostro di cui si raccontava nel paese di Otsuhaccho nella provincia di Omi (attuale prefettura di Shiga), un palla di fuoco che si introduceva di notte nelle case per leccarvi l'olio delle lampade, forse attratto dal suo odore poiché veniva ricavato dal pesce, il libro si conclude (segue un glossario) a pagina 495 col beffardo Zunberabo: un mostro della zona di Tsugaru,nella prefettura di Aomori, che segue gli uomini che camminano per la strada cantando per occupare il tempo, intonando la stessa canzone ma con intonazione e voce nettamente migliori. Quando si rivela il suo volto appare privo di occhi, naso e bocca, mentre i capelli sembrano i fasci di ramoscelli usati come ramazza. E' tra i mostri più temuti in quanto non offre alcun riferimento agli esseri umani, privo come è di lineamenti.

Essendo in media dedicata una pagina - raramente due -  ad ogni singolo mostro, ognuno accompagnato da una illustrazione proveniente dalla mano di Mizuki, possiamo grossolanamente calcolare che questa inquietante quanto divertente enciclopedia ne contempli circa 450.

Per darne un esempio ed una anticipazione ai futuri lettori abbiamo aperto una pagina a caso: la sorte ha voluto designare quella dedicata a Numagozen.

Nella valle di Kaneyama, in Kaitsu, vi è un grande stagno molto profondo formato dal fiume Numazawa, talmente insidioso che nessuno aveva mai potuto misurarne la profondità. Si dice che lì vivesse il padrone dello stagno, il cosidetto Numagozen (Sua Eccellenza lo Stagno). Il terzo anno dell'era Shotoku (1713) un valente cacciatore di nome Sanuemon Yamatani decise di andare a cacciare le anatre selvatiche e una mattina, all'alba, si recò nei pressi dello stagno. Nei pressi dell'argine opposto scorse all'improvviso una bellissima fanciulla, la quale stava immersa nell'acqua sino alla cintola e sembrava tutta intenta a tingersi i denti di nero, come richiedeva la cosmesi femminile dell'epoca. Sanuemon, incuriosito, si mise a scrutare meglio quella misteriosa fanciulla: aveva i capelli lunghi sei metri, e c'era qualcosa che non lo convinceva affatto. Quindi, sempre più convinto che si trattasse di un mostro, imbracciò il fucile, lo caricò e sparò un colpo, colpendo la fanciulla in pieno petto. Questa cadde supina e sparì nell'acqua. All'improvviso, dalle profondità dello stagno giunse un boato simile a un tuono, e si formarono delle onde che spazzarono gli argini. Nuvole nere minacciose si addensarono su quella zona, l'acqua ribollì rilasciando dei vapori cinerei che salirono fino al cielo, e persino l'intrepido giovane, per quanto coraggioso, si spaventò e decise di fuggire da quello stagno. Per sua fortuna, nemmeno in seguito fu mai colpito da alcuna sventura.

Da bambino, ero alquanto impaurito dalla parola nushi (padrone). Quindi immaginavo che Numa no nushi (padrone dello stagno) fosse un termine che indicasse un essere che dominava una placida distesa d'acqua, pronto a punire chiunque avesse turbato i suoi domini. Tuttavia, in questi ultimi tempi, poiché molti stagni sono stati interrati o bonificati, l'alone di mistero che li circondava è svanito del tutto. Il rispetto che la gente moderna ha per l'ambiente non dovrebbe limitarsi solamente all'aspetto più fisico: nel distruggere gli elementi della natura che ci circondano, magari non ci rendiamo conto di spazzare via lo spirito di un nostro antenato nascosto in un albero, in un sasso, in uno stagno.