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Arriva il giorno dopo: alle ore 15,30 inizia la lezione del gruppo principianti organizzato da pochi mesi, ma per l’occasione i due gruppi vengono riuniti e tutti insieme si farà Aikido per tre ore.

Giunto al dojo, organizzato in un cortile interno che è stato coperto da una struttura leggera, trovo i giovani giunti in anticipo chini sul tatami, intenti a ripulirlo con le tipiche scope indiane prive di bastone.

Roberto mi presenta agli allievi e l’avere di fronte il maestro del loro maestro ha un evidente effetto eccitante per questo gruppo di giovani carichi di entusiasmo come candelotti di dinamite.

 

 

Giovani che non possiedono nulla se non le vesti che indossano, molto spesso orfani che non conoscono neppure per certo il loro luogo di origine e che faticano anche a comunicare fra loro provenendo dalle più diverse province di quello che una volta era l’antico e vasto regno del Tibet.

Ragazzi che studiano duramente abituati all’austerità della vita monacale a cui nella maggior parte dei casi accedono senza una vera vocazione. Del resto anche la partecipazione a questo corso non è decisa da loro ma dai loro insegnanti.

Ragazzi puri come cristalli la cui luce è evidente nei loro occhi; ragazzi a cui per un giorno si presenta una opportunità che a loro appare come straordinaria. Tutto ciò è evidente senza bisogno di scambiare una sola parola.

Roberto dà il via al loro abituale “riscaldamento libero”e la mia mandibola si spalanca di sbalordimento. Subito ha inizio un turbinio di acrobazie messe in atto con incredibile spontaneità e con un coraggio che è più corretto definire pura incoscienza.

Gli esercizi di stretching sono allucinanti, del tipo uno tira di qua l’altro tira di là e quello in mezzo cerca di sopravvivere allo squartamento.

Qualcuno inizia ad inanellare giri su giri di saltelli per scontare la punizione impartita da Roberto il giorno prima e non perdere la prima parte della mia lezione.

 

 

 

Confrontando quell’energia argentina all’annoiata apatia dei nostri giovani cresciuti a merendine e play station, anche io finisco col sentirmi carico di un entusiasmo particolare che non avevo mai provato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non descriverò ora certo la mia lezione ma dirò che la loro concentrazione il loro impegno la loro giocosa e frizzante energia hanno fatto sì che le mie spiegazioni e le mie strategie didattiche abituali abbiano dato risultati sorprendenti.

Nonostante l’ostacolo di dover spiegare per lo più a gesti, questa selezione di autentici fenomeni assorbiva con sorprendente velocità ogni tecnica e correzione.

Al termine della lezione chi si era divertito più di tutti ero sicuramente io.

Come se non bastasse d’un tratto qualcuno giunge bisbigliando qualcosa con tono trafelato. Il Tai Situ in persona accompagnato da un codazzo di seriosi monaci anziani ci onora della sua visita! Subito un silenzio irreale tronca di netto la chiassosa gioia dei seminaristi per trasformarsi in un atteggiamento colmo di rispetto e devozione.

Raccolte le mie favorevolissime impressioni circa le qualità riscontrate nei ragazzi e sul lavoro svolto da Roberto, il Tai Situ assume atteggiamenti molto informali addirittura scherzosi, assolutamente sorprendenti visto l’alto rango del personaggio soprattutto per i giovani monaci.

Assistiamo così allibiti alla performance del Lama che ingaggia con Roberto alcuni scambi di tecniche, essendo lui stesso affascinato dalle arti marziali.

A quella prima lezione ne hanno fatto seguito altre quattro con crescente soddisfazione di tutti.

La loro sfacciata capacità di apprendere quasi mi provocava.

 

Più presentavo cose tecnicamente difficili più loro evidentemente incuriositi e stimolati mi gratificavano.

Per intenderci nei cinque giorni ho proposto tutte le tecniche fino ai koshinage da svariati tipi di attacco compreso ushirowaza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ultimo giorno la mia curiosità mi ha spinto a volere verificare i progressi fatti.

Con una informale prova di esame sulle tecniche di 6° kyu ho riscontrato che quattordici su venti del gruppo avanzati la avrebbe superata.

Sicuramente non merito mio. Merito del lodevole lavoro di base svolto in precedenza da Roberto nonostante il suo 5° kyu di aikido, dello straordinario talento dei ragazzi e probabilmente di quella magica sintonia che si è spontaneamente stabilita.

Il commiato è avvenuto lasciando ad ognuno di loro il biglietto da visita del mio dojo con annotato l’indirizzo del sito. Anche se raramente, per restare al passo col mondo, questi giovani vengono messi davanti ad un computer: quel semplice pezzo di carta e quell’indirizzo hanno rappresentato per loro un vero dono.

A riprova di questo la sera, mentre eravamo a cena con i nostri amici nell’essenziale taverna del monastero, siamo stati raggiunti da Damchoe Thinley (che traduceva in tibetano il mio essenziale inglese) che con i suoi quasi 30 anni (in Tibet si inizia a contare dal concepimento) è il più maturo fra i ragazzi. Recava in mano un dono per me.

Dopo avermi messo al collo una kata bianchissima mi ha consegnato un libro raffigurante opere d’arte del Tai Situ, calligrafie, dipinti e foto artistiche, acquistato facendo una colletta con le loro inesistenti finanze fatte realmente di spiccioli! Commovente, semplicemente commovente. Una stretta di mano con lui seguita da un forte abbraccio ha suggellato il finale di questa avventura che non è detto non possa avere un seguito.

Ciò che mi ha spinto a scrivere questo articolo è la forte emozione vissuta e la traccia indelebile che in me ha lasciato. Comunque vada resta il fatto che qualcosa di speciale è avvenuto.

Questo incontro mi ha dato modo di unire il profondo affetto per la cultura tibetana e la mia competenza e passione per l’aikido. E’ stata una esperienza di insegnamento totalmente diversa da ogni altra.

Una cosa è insegnare nel proprio dojo ai propri allievi o passare conoscenze tecniche a persone che pagano per partecipare ai miei seminari.

Qui lo scambio è avvenuto alla pari, piacere per piacere, soddisfazione di apprendere per soddisfazione di insegnare, di dare qualcosa a questi ragazzi che, benché per certi versi sfortunati, trasmettono una incredibile carica di positività ed ottimismo.

Quel gruppo di giovani monaci mi è rimasto nel cuore e l’unico ostacolo è la grande distanza. Ma, si sa, l’entusiasmo può far spuntare le ali.

Montevecchi Ugo

 

Nota:

Roberto Rivola ha pubblicato nel 2008 un libro sulla questione tibetana e sulle violenze che tutt’ora questo popolo subisce. Il testo intitolato “Verità nascoste” è stato pubblicato a sue spese e il ricavato viene dall’autore devoluto per la causa stessa. Tale testo verrà probabilmente ripubblicato a breve dalla casa editrice “Il Cerchio”.