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Nota

La parte che segue attinge ad articoli ed interviste rilasciati dal maestro stesso nel corso degli anni, tradotti da Daniela Marasco quando erano in giapponese. E' stata riadattata per necessità editoriali, e in caso di difformità dalle intenzioni deglli autori vogliate attribuirne esclusivamente a noi la responsabilità. La maggior parte degli originali è disponibile on line sul sito dell'Aikikai d'Italia, nella sezione riservata alla rivista Aikido.

 

La prima volta che il maestro sentì parlare di Ueshiba Morihei sensei fu quando aveva circa 7-8 anni.  Una sera, mentre si cenava, il padre gli raccontò ciò che aveva sentito da un suo vecchio amico, il signor Yano Ichiro (ex Presidente della società di assicurazioni Dai-ichi Seilmei). II signor Yano possedeva un elevato grado dan di kendō ed era stato Presidente della Federazione Nazionale Giapponese dei Club Aziendali di Kendō. Aveva affermato: “Il maestro di aikijutsu, Ueshiba, è il più grande esperto di budō attuale. “Come budōka non teme paragoni con nessuno", ed aveva poi illustrato i particolari della lezione del maestro Ueshiba alla quale aveva partecipato.

 

Da lungo tempo nella famiglia Tada si tramandava lo stile di tiro con l’arco chiamato Heki ryu Chikurin ha Banpa. Il padre aveva appreso quest’arte dal bisnonno sin da bambino ed aveva continuato in seguito ad allenarsi costantemente; per questo motivo si trovava spesso a discutere di arti marziali con il signor Yano ed aveva iniziato a nutrire un grosso interesse nei confronti dell’aikijutsu. Già allora pur essendo solo un bambino il maestro Tada pensò che gli sarebbe piaciuto incontrare una persona così importante e diventare suo allievo, ma purtroppo non riuscì a realizzare questo desiderio, a causa di un’infausta serie di eventi quali la chiamata alle armi del padre, lo scoppio della guerra e la scomparsa della madre.

Nel 1950, nonostante fossero ormai trascorsi cinque anni dalla fine del conflitto, per tutta Tokyo si potevano scorgere ancora ovunque i segni della guerra nei resti degli incendi causati dalle bombe. In quel periodo, così come accadde alla maggior parte dei giapponesi che furono travolti dagli avvenimenti dell’epoca, il maestro Tada avvertiva costantemente uno strano senso di fugacità, una sorta di coraggio nella disperazione per cui nulla poteva più sorprenderlo, ma, allo stesso tempo, sentiva la necessità di un qualche sostegno psicologico. Per superare tale sensazione di incertezza si dedicò allora con tutto se stesso agli allenamenti quotidiani di karate. Fu così che, ricordando ciò che aveva sentito in passato dal padre circa il maestro Ueshiba e l’aiki, decise di raccogliere informazioni più dettagliate a riguardo.

Un giorno, dopo l’allenamento di karate, il maestro Ueshiba e l’aiki divennero inaspettatamente argomento di discussione; venne così a sapere che, secondo informazioni fornite al capitano del club di karate dell’Università di Waseda, il signor Takeda, da un suo conoscente, il Ueshiba Dōjō si trovava a Wakamatsu cho (Ushigome), nelle vicinanze della Waseda.

Animato da un inconscio senso di ammirazione nei confronti del maestro Ueshiba Morihei, considerato il massimo esperto del tempo, si recò, carico di entusiasmo, a visitare il Ueshiba Dōjō. Era il 4 marzo del 1950. Superato il portale di pietra di casa Ueshiba, miracolosamente scampata ai danni della guerra, sulla sinistra si poteva vedere il dōjō e di fronte lo spazioso ingresso della casa, dalle porte scorrevoli in vetro e legno.

Il dōjō era deserto, e quando entrò nell’ingresso della casa per chiedere informazioni fu accolto da una giovane donna, la signora Sakuko, moglie del secondo Doshu, Ueshiba Kisshomaru.

Dopo averle chiesto il permesso di iscriversi al Dōjō, le fece parecchie domande e anche se non ricorda con esattezza i particolari tuttavia ricorda chiaramente, ancora oggi, le sua risposte alle ingenue domande: “Quando vedrà mio suocero capirà che cos’è l’aiki". Gli  spiegò inoltre che il maestro al momento era in viaggio ma che sarebbe tornato a Tokyo dopo due o tre giorni. E facendogli strada nel dōjō aggiunse: “Fra un po’ inizierà l’allenamento...”.

 

 

 

 

 

Il dōjō era della grandezza di 60 tatami (circa 100 mq) e la zona dove si tenevano gli allenamenti era costituita da circa 40 tatami della Ryūkyū, lesi in più posti; nella restante parte del dōjō c’era un pavimento in legno scuro lucido.

Il soffitto era formato da grosse travi di legno incrociate e, lateralmente alla porta attraverso cui si accedeva al dōjō da casa Ueshiba, c’era una zona sollevata dal pavimento e rientrante nel muro (lo shinden dove di solito sedevano gli ospiti di riguardo per assistere agli allenamenti), la cui parete centrale era ricoperta da una riproduzione di grandi dimensioni della testa di un drago.

A destra di questa zona, sulle apposite mensole, erano allineati dei bokken insieme a dei e a dei mokuju (fucili di legno). Sulla parte superiore della parete erano appese delle tavolette di legno con i nomi degli allievi e al centro della parete che si trovava entrando sulla sinistra, c’era un grande orologio sovrastante un altro ingresso attraverso cui gli allievi erano soliti accedere al dōjō.

Dopo qualche minuto entrarono un ragazzo piuttosto alto e robusto che indossava un keikogi blu da kendō e l’hakama e un signore di una certa età con la cintura nera, che iniziarono ad allenarsi. Il ragazzo, 5° dan di kendō, era il signor Kikuchi Tokio (che si trasferì poi a Kamaishi), l’altra persona era il signor Kikuchi Ban che si era iscritto al dōjō il giorno prima.

Vedendoli praticare katatedori tenkan no kokyu il maestro Tada pensò che si trattava di qualcosa di completamente differente rispetto alle altre arti marziali che conosceva. A questo punto realizzò che, oltre al fatto di utilizzare dei movimenti estremamente razionali per assimilare la forza dell’attaccante nel flusso della propria energia, l’idea di base era quella di attuare delle rotazioni con il corpo così da diventare un tutt’uno con l’attaccante. Ritornò poi a Tōkyo dopo circa quattro giorni.

A quel tempo gli allenamenti erano impartiti quotidianamente dal secondo Doshu, Ueshiba Kisshomaru, la mattina e la sera, dalla 6,30 in poi, per la durata di un’ora. Gli allievi erano ancora poco numerosi ma tutti si impegnavano con grande zelo nella pratica, allenandosi costantemente nei limiti di tempo concesso. Quella mattina il maestro Tada si allenò fin oltre le 10. Terminato l’allenamento, quando raggiunse la strada principale di Nukebenten, avvistò due persone, una vestita in kimono e l’altra con la divisa da studente, che probabilmente erano appena scese dal tram da poco ripartito. II signor Kikuchi Tokio gli disse: ‘‘Ō Sensei è tornato, vieni Tada!’’ e iniziò a correre incontro alle due persone.

Dopo aver salutato il maestro Ueshiba, lo presentò: ‘‘Maestro, questo è il signor Tada, si è appena iscritto al dōjō’’. Quando sollevò lo sguardo dopo aver completato il saluto, notò che il maestro Ueshiba lo stava fissando intensamente. Levandosi il cappello gli disse: ‘‘Mi chiamo Ueshiba” e, con suo grande stupore, si inchinò cortesemente verso di lui che non era che un semplice studente in divisa. Trovandosi in quel momento finalmente di fronte al maestro Ueshiba, di cui già da tempo conosceva la grande fama dai racconti che aveva sentito in passato, venne preso da un incontrollabile emozione: fu come se innanzi ai suoi occhi si fossero venuti a concretizzare improvvisamente tutti i desideri e le speranze che per lungo tempo aveva nutrito nel profondo del cuore.

II maestro Ueshiba arrivava più o meno all’altezza delle sue spalle. Aveva un viso dai lineamenti marcati, con gli zigomi e il naso pronunciati. I grandi occhi dallo sguardo limpido erano di un colore leggermente al di fuori dalla norma. La lunga barba bianca, che gli ricopriva il mento, gli arrivava fino all’altezza del petto. Accompagnarono il maestro e il signor Kamizono, della Facoltà di Scienze della Waseda, che era con lui, fino all’incrocio con la strada che portava al dōjō e lì li salutarono.

La mattina seguente, l’allenamento del maestro Morihei Ueshiba iniziò con una devota preghiera alle divinità. Nessuno fra gli allievi del maestro potrà mai cancellare il ricordo del suono della sua voce che risuonava per tutto il dōjō quando recitava le rituali preghiere shintō. Osservando la figura del maestro in quei momenti si poteva constatare in pratica che quelle sue qualità considerate “soprannaturali" non erano che il frutto delle sue pratiche devote verso le divinità. Ripiegandosi il lungo orlo delle maniche del keikogi, il maestro si diresse verso il centro del tatami e fece un rapido cenno con la mano ad uno degli allievi seduti in fila, che, come attratto da una calamita, si alzò e si fece avanti.

Non ebbe neanche il tempo di afferrargli con entrambe le mani il polso che subito venne lanciato in aria. II maestro continuò a proiettare in successione varie persone e ad un certo punto porse il braccio anche nella direzione del maestro Tada. Questi si fece avanti e, appena afferrato il polso, così come aveva visto fare agli altri, con tutta la forza che aveva, si ritrovò subito a rotolare sul tatami. Per tutto il tempo il maestro Ueshiba non disse una sola parola. Questo era il modo in cui iniziava sempre l’allenamento. Ciò che più colpì il maestro Tada nei primi tempi che frequentò il dōjō, era che gli allievi più anziani, nonostante il maestro Ueshiba rimanesse sempre silenzioso, capissero sempre quale, fra le numerose tecniche esistenti, avesse intenzione di dimostrare di volta in volta. Col passare del tempo, tuttavia, comprese che chi non era in grado di capire il tipo di tecnica che il maestro si apprestava a dimostrare, non veniva accettato come allievo. L’allenamento di ō sensei creava un’atmosfera di tipo molto particolare: era come se l’intero dōjō iniziasse a respirare in sintonia con il suo respiro.

La prima volta che il maestro Tada frequentò una sua lezione pensò: “II Maestro Ueshiba è un insegnante veramente avanzato”. Secondo le voci che circolavano allora fra i suoi colleghi della Waseda, il maestro Ueshiba veniva considerato come un esperto di arti marziali che utilizzava delle tecniche estremamente efficaci di koryu-jujitsu, arti marziale del passato completamente differenti da quelle del tempo, e possedeva allo stesso tempo delle “misteriose” capacità. Era, dicevano, come se un illustre personaggio della storia giapponese fosse ritornato a vivere nella nostra epoca.

Tuttavia, quando il maestro Tada incontrò personalmente il maestro Ueshiba, avvertì al contrario che si trattava di una persona molto più razionale di tutti gli altri esperti di budō e sportivi che avesse conosciuto fino ad allora, e, sotto alcuni punti di vista, estremamente moderna. Fu molto affascinato dalla complessità e dalla forza emanate dal ritmo stabile dei movimenti del maestro, ma ciò che lo sorprese più di ogni altra cosa fu che, proprio attraverso tali movimenti, capaci di sconfiggere in un solo istante un avversario se usati realmente a tale scopo, si venisse a creare un’atmosfera particolarmente calorosa che veniva a coinvolgere psicologicamente tutte le persone presenti nel dōjō.

Fu sulla base di questa sua personale esperienza che arrivò alla seguente conclusione: se tutti gli uomini si sforzassero di progredire sempre di più, un giorno forse sarà possibile avvicinarsi al modello di un cosi grande maestro. Da allora sono trascorsi molti anni, l’aikidō si è diffuso in tutto il mondo e diventa di anno in anno sempre più popolare. Grazie alle sue esperienze di insegnamento in Europa Tada sensei, guardando al Giappone dall’esterno, ha avuto la possibilità di comprendere ancora più a fondo gli insegnamenti del maestro Ueshiba Morihei, che ha indicato a tutti la via dell’aikidō, espressione pratica della cultura tradizionale giapponese.

Egli è convinto che l’aikidō sia uno strumento prezioso in quanto, diversamente dalle altre arti marziali competitive attualmente esistenti, consiste in una pratica scientifica che combina inscindibilmente le pratiche ascetiche del kishintai - sistema di armonizzazione di spirito, mente e corpo facente parte della filosofia orientale -  alle tecniche di difesa proprie delle arti marziali. Sarà proprio grazie a tali caratteristiche che l’aikidō si verrà a diffondere sempre di più nel XXI secolo, dando così il proprio contributo agli studi sul genere umano. Il maestro Tada si augura che in futuro si continui a praticare l’aikidō con sempre maggiore impegno, tenendo costantemente presenti tali finalità.