Con il termine «spiritus» I nostri padri latini intendevano designare la respirazione quale funzione fisiologica, quindi l'aria nei suoi composti di ossigeno e di idrogeno, arricchita di profumi naturali, sia la vita che da detta respirazione trae la sua scaturigine, da cui le locuzioni « spirare », « esalare l'ultimo respiro » e così via.
Spiritus, nell'accezione latina significava anche anima, laonde « esalare » l'ultimo respiro » equivaleva anche a dire « rendere l'anima a Dio ».
Quanto sopra detto già sarebbe di per sé sufficiente a spiegare le relazioni che intercorrono fra spiritualità e respirazione, ma, per venire al tema specifico dell'aikido, occorre premettere che esistono vari sistemi o « vie » (in linguaggio orientale « do ») per giungere a sviluppare e padroneggiare le energie latenti attraverso il processo respiratorio.
Nello yoga è conosciuta la respirazione, per così dire verticale, atta a risvegliare i sette centri di energia fisio-psichica (corticale, pineale, faringeo, cardiaco, solare, addominale (o tanden) e sessuale); detta respirazione è altresì quella sussunta come base di ogni altra esperienza parapsichica dai cinesi e giapponesi ed esercitata nello « za-zen », che appunto significa « base dello zen », quest'ultimo inteso come realizzazione piena dell'essere.
Detto tipo di respirazione, pur riuscendo benefico per l'irrorazione di tutti i centri vitali, il più delle volte resta manchevole per l'incapacità del praticante di raggiungere il centro corticale, da cui parte la vera illuminazione, laonde detta respirazione yoga si risolve, nella più parte dei casi, in mero esercizio igienico.
Per quanto riguarda in particolare l'aiki, è da notare che esso promana soprattutto dall'energia sprigionata dai centri (chakras) pineale e addominale i quali, diversamente da quanto avviene per il prana (energia fisica), rappresentano il punto di unione (V. appunto l'esercizio respiratorio del gassho) della energia fisica con quella mentale, sì da produrre in sintesi la cosiddetta, e tanto ricercata o negata, « energia spirituale », da sperimentarsi ad esplicarsi, non tanto in fase di stasi, quanto in fase di azione e di movimento.
Così come il pragmatismo sta all'idealismo e al razionalismo.
Beninteso, affinché l'energia fisica non contamini con le sue scorie l'energia mentale, occorrerà un corpo pulito e purificato dall'allenamento o dalla dieta ed in ogni caso vivificato dalla fede nell'opera intrapresa.
E' chiaro che l'illuminazione del centro corticale, attraverso il « kun-dalini » (energia serpentina che si sprigiona, attraverso la respirazione verticale yoga, da detto centro corticale) costituisce la base determinante per lo sviluppo dell'energia mentale e per il controllo dell'energia fisica, l'unione delle quali produce, con diverso processo circolatorio, il fluire del ki, ben diverso come abbiamo detto dal prana, e che riesce ad informare tutta la personalità umana, fatta di corpo e di spirito, di quell'energia elettro-magnetica, che resasi indipendente dalle relazioni propedeutiche fra ritmo cardiaco, respiratorio e circolatorio e sublimatasi in pura energia o sub-energia elettromagnetica, dovrebbe condurre l'uomo allo stadio anteriore alla caduta, senza il pericolo di una ricaduta, per le sperimentate controindicazioni del suo orgoglio e per la presa di coscienza dei suoi limiti umani, ampi, ma ben limitati, rispetto all'inesistenza di limiti del Divino.
Non tutti possono attingere al controllo dei propri centri vitali (cha-kras), meno ancora possono giungere a risvegliare il centro corticale, pochi riescono a coordinare i risvegli parapsichici che si affacciano alla soglia della loro sensibilità, meno ancora riescono a coordinare e a controllare mentalmente l'unione delle energie mentali con quelle fisiche: chi vi riesce può diventare simile a un « deva » ossia ad un angelo; chi non vi riesce, ma vi tenta e si adopera a tal fine, raggiungerà pur sempre un benessere fisio-psichico che, se condotto in purezza di intenti, lo porterà a quella salvezza che è stata promessa a tutti i poveri di spirito.
L'avvocato Giacomo Paudice, scomparso prematuramente, ha lasciato tuttavia importanti testimonianze del suo pensiero, non dissimile da quello di altri pionieri e padri fondatori della via dell'aikido in Italia. Questo articolo apparve nella pubblicazione Lo spirito del Giappone edita dall'Aikikai d'Italia, Anno V n. 7-8, inverno 1976.
Si ringrazia Giancarlo Paudice per avere cortesemente autorizzato la sua nuova pubblicazione.
Questo è il primo di una serie di articoli che riprenderanno le testimonianze di un tempo che sembra al momento attuale perduto.
Ma non è probabilmente così.
Nel corso delle ricerche di materiale illustrativo, per puro caso lo scrivente si è imbattuto in questa immagine. E' stato naturale pensare che appartenesse al passato, che questo fungo che nell'autunno di pochi anni fa gridava al mondo la sua esistenza - che ad alcuni di noi appare effimera, inutile, nociva - sia più soltanto un ricordo, e un ricordo destinato a svanire assieme a chi lo ha in altrettanto effimera custodia.
Non è così: scomparirà lo scrivente, ma che sia in quel giardino o altrove quel fungo o un altro simile a lui tornerà ogni autunno a nuova vita. Ha infatti disseminato per tempo le sue spore, pur senza curarsi del loro destino.
Semplicemente perché questo era il suo destino.
P.B.