Il secondo capitolo indaga la storia delle arti marziali e la figura del samurai; i termini usati per indicare le arti del combattimento, bugei (武芸) arte della guerra e bujutsu (武術), tecniche di guerra, hanno una storia lunga che accompagna tutta la storia del Giappone; le arti marziali giapponesi conosciute come budō (武道) sono invece un'invenzione moderna. Solo di recente, un approccio più scientifico al problema ha permesso di mettere a nudo le approssimazioni e le forzature che i primi interpreti occidentali della cultura giapponese hanno elaborato basandosi su pregiudizi inconsapevoli e informazioni indirette e falsate. Un caso esemplare riguarda il kyūdō (弓道), l'arte del tiro con l'arco, resa popolare in Occidente da Eugen Herrigel, trattato nel paragrafo 4 del secondo capitolo. In generale, l'evoluzione delle arti marziali in Giappone è caratterizzata da una relazione a volte piuttosto stretta con i luoghi del culto che costituivano le sedi dove i praticanti esercitavano le loro arti. Molte di quelle più antiche evidenziano, nel loro sviluppo, collegamenti diretti con un particolare tempio buddhista o shintoista, o legami espliciti con un kami particolare. Questa circostanza pone in evidenza la connessione fra piano spirituale e pratica fisica.
Una delle prime ryūha (流派) scuole di tecniche marziali, fu fondata nel tardo XV secolo presso il Gran Tempio di Kashima: la Kashima Shinryū, è infatti una delle prime organizzazioni di allenamento per samurai. Testimonianze relative all'importanza nelle pratiche marziali dello sviluppo delle capacità di concentrazione, che focalizzano l'energia del combattente nell'atto dello scontro, si trovano inoltre negli scritti di Sōhō Takuan (1573-1645, oltre che ne Il Libro dei Cinque Anelli di Miyamoto Musashi (1584-1645) che risale alla stessa epoca. La forma moderna delle arti marziali giapponesi, budō è stata fortemente influenzata dal Kōdōkan jūdō: mantenere riferimenti agli aspetti di autocontrollo e di educazione delle emozioni come elementi altrettanto importanti quanto l'abilità tecnica.. Da una parte si introducono elementi attuali come la ricerca scientifica applicata alla tecnica, il sistema dan kyū, la didattica basata sull'analisi dettagliata dei movimenti e l'enfasi sul carattere formativo; dall'altra il budō segue le tracce delle antiche arti marziali su cui indiscutibilmente si basa.
La concezione di Kanō non era né strettamente nazionalistica né socialmente conservatrice. Kanō promosse anche lo sviluppo degli sport occidentali e mandò il suo migliore allievo in America a insegnare il jūdō; inoltre aprì la pratica della disciplina anche alle donne. Tuttavia il budō venne usato dai nazionalisti in funzione di propaganda e associato al militarismo giapponese; dagli anni Venti fino alla Guerra con la Cina nel 1937 e alla Seconda Guerra Mondiale (1941-45) per favorire la mobilitazione bellica. I valori morali promossi dal Gakkō budō (学校武道) vennero identificati con la devozione allo Stato, secondo lo spirito marziale dell'imperatore Kanmu fondatore di Heian Kyō (774 d.C), come elemente fondante del wakon (和魂), il puro spirito giapponese.
Tra gli anni Trenta e Quaranta gli sport occidentali venivano scoraggiati mentre si promuoveva una concezione nazionalistica del budō che aveva una storia antica e incorporava il wakon. L'enfasi espressa da Kanō sulla modernità e discontinuità del jūdō rispetto alla tradizione svaniva. Gli sport occidentali come tutta la cultura occidentale erano basati sull'individualismo e sul liberalismo mentre gli sport nazionali erano considerati tesori culturali. Fu sviluppata la visione nazionalistica, wakon yōsai (和魂洋裁), spirito giapponese opposto alla tecnica occidentale. Dopo il 1945 tutte le arti marziali, e in particolare il kendō, furono proibite in Giappone dalle autorità d'occupazione americana. Al posto del kendō furono inventate delle versioni sportive come lo shinai kyōgi (竹刀教義) e tutti gli altri budō dovettero essere trasformati in discipline solo sportive. Solo nel 1950 la All-Japan Jūdō Federation e la Japan Kyūdō Federation poterono essere riorganizzate e nel 1956 si tenne a Tokyo il primo World Jūdō Championship e nel 1964 quando Tokyo ospita i Giochi Olimpici, il Jūdō fu accettato come sport olimpico, evolvendosi verso una dimensione più agonistica e sportiva.
Invece, come riporta Ueshiba Kisshōmaru:
L'aikidō si rifiuta di divenire uno sport competitivo e rigetta tutte le forme di competitività o gare. Questi aspetti sono visti solo come carburante per l'egoismo, l'egocentrismo e il disinteresse verso gli altri. La gente è molto attirata dagli sport combattivi - ognuno vuol essere vincitore - ma non c'è nulla di più nocivo per il budō [...]. L'aikidō traccia una chiara e netta linea di demarcazione su questo modo di pensare, e la ragione è estremamente chiara: l'aikidō aspira a mantenere l'integrità del budō e a trasmettere lo spirito delle arti marziali tradizionali, rimanendo fedele al fondamentale principio del budō, come enunciato dal maestro Ueshiba: il costante allenamento della mente e del corpo costituisce la disciplina base di coloro che intendono seguire un cammino spirituale.
Nell'aikidō pertanto, il combattimento acquista un significato nuovo: è ritualizzato, non prevede vincitori o sconfitti. Viene abolita la competizione ed enfatizzata la partecipazione di entrambi i "contendenti" a un sistema di valori condiviso. I ruoli di aggressore e aggredito vengono scambiati secondo una sequenza convenzionale. Le sequenze di azione e risposta sono prestabilite e note ad entrambi i contendenti (o "attori"). Le altre arti marziali invece tendono a "stilizzare" le antiche arti di combattimento, trasformandole in modo che non provochino danni irreparabili, mantenendo vivo però l'aspetto guerresco/agonistico. Si sostituisce l'uccisione dell'avversario con una vittoria di tipo sportivo ma c'è comunque un vincitore e uno sconfitto. Ueshiba Morihei elabora gli aspetti tecnici di quello che diventerà l'aikidō, a partire dalla tradizione del bujutsu e in particolare influenzato dalla scuola Daitoryū del Maestro Takeda Sokaku.
Il terzo capitolo è interamente dedicato alla storia dell'Ōmotokyō; un'organizzazione religiosa relativamente piccola ma stabile che consta di circa 165mila aderenti ufficiali. Il gruppo ha un grande centro amministrativo a Kameoka e sede di culto ad Ayabe. Reverendi laici amministrano le necessità dei membri tramite riti legati al culto degli antenati, cerimonie di purificazione e guarigione, preghiere di gruppo e meditazione. Ogni anno ad Ayabe si tengono parecchi festival che attirano migliaia di seguaci da tutto il Giappone. Il gruppo pone molta enfasi sul praticare e preservare le arti giapponesi come la cerimonia del tè, il teatro nō, la calligrafia, la ceramica e l'aikidō. Diversamente da altre nuove religioni, l'Ōmotokyō non fa proseliti e partecipa ad attività pacifiste nel mondo tramite la partecipazione attiva a movimenti ecumenici internazionali.
Gli scritti di Deguchi Nao ci permettono di capire le aspirazioni e le preoccupazioni di una donna Meiji in lotta per dare un senso alle sue sofferenze e per risolvere ciò che percepiva come la crisi principale nei problemi umani contemporenei.
I principali obiettivi del co-fondatore Onisaburō sono soprattutto collegati alla promozione di attività interreligiose e di cooperazione fra le diverse fedi, secondo i principi del Bankyō dōkon: (tutte le religioni hanno la stessa radice). Oltre al movimento interreligioso, esistono altri campi di attività che mantengono legami con l'Ōmotokyō.
Uno di questi è l'Aikidō, l'arte marziale che vede il suo scopo nell'incontro armonico delle forze opposte. Nel 1926 Onisaburō diede la propria benedizione allo sviluppo dell'aikidō, considerato la via dello "spirito dell'amore divino", 愛気. Ancora oggi all'interno dell'Ōmoto viene praticata una variante dell'aikidō chiamata Shinwa Taidō (親和体道), che consiste in una forma di meditazione attraverso l'azione del corpo. Fu il nipote e discepolo di Ueshiba Morihei, Inoue Hōken (1902-1994), anch'egli seguace dell'Ōmoto, a dissociarsi dallo zio e a fondare questa sua personale interpretazione dell'arte marziale. Gli esercizi finiscono con la preghiera shintō: "Che io possa crescere secondo la volontà di dio".
Un altro campo a cui si interessò il fondatore fu l'esperanto. Nel 1923 organizzò dei corsi per l'apprendimento di questa lingua universale, attraverso la quale intendeva diffondere la parola di dio, l'amore e la fratellanza. L'esperanto viene assunto come la seconda lingua dell'Ōmoto. Questo aspetto è piuttosto inusuale: le scuole del XIX secolo difficilmente escono dai confini del Giappone; nel 1925 Onisaburō fonda la Jinrui Aizenkai (人類 愛善会, l'associazione per l'amore e la fratellanza universale) che può essere considerato il ramo secolare dell'Ōmoto. Questa associazione si dedica a varie attività umanitarie, ed è ancora oggi assiduamente impegnata nella campagna contro la pena di morte.
Nel quarto capitolo vengono esaminati gli aspetti legati alle fasi di evoluzione dell'aikidō e il significato dei caratteri che compongono il suo nome. Approfondendo le caratteristiche dell'aikidō attraverso gli scritti del fondatore e gli aspetti rituali legati alla pratica, non mancano gli elementi per affermare che l'aikidō si presta a essere identificato e vissuto come religione, anche se inconsapevolmente, perché può diventare un'esperienza di fede, come l'esperienza religiosa.
Grazie alla guida di un kami che gli rivelava le leggi fondamentali dell'universo, Ueshiba è stato scelto come strumento per propagare l'aikidō sulla terra. Secondo le parole di Ueshiba stesso confermate da Onisaburō Deguchi, l'aikidō diventa un mezzo per avvicinarsi al divino. La natura religiosa del rituale dell'aikidō traspare per il fatto che si rende necessaria la presenza di un maestro che più o meno direttamente è riconducibile al fondatore stesso, e quindi al kami che lo ha ispirato. Il fatto di rispettare questi rituali rende il praticante partecipe di questa attività indipendentemente da quale sia il suo credo religioso.
Anche l'aikidō ha il suo piccolo luogo di culto nella cittadina di Iwama, prefettura di Ibaraki. Si tratta dell'Aiki Jinja, un santuario shintoista edificato da Ueshiba tra il 1940 ed il 1944 e ricostruito ex novo tra il 1960 ed il 1962 essendo il primo ormai insufficiente ad accogliere il crescente numero di prticanti. Simboleggiare il credo del fondtore nell'aikidō come disciplina spirituale. Ogni anno il 29 aprile si tiene una cerimonia presieduta da un sacerdote Ōmoto. La data coincide con il compleanno dell'ultimo imperatore Shōwa, festa nazionale, anche in commemorazione della morte del fondatore il 26 aprile 1969.
Anche se nella situazione attuale sia in Giappone che in Occidente gli aspetti più spirituali dell'aikidō sono vissuti in modo sfumato e secondario dai praticanti, tuttavia l'importanza fondamentale dell'aspetto religioso risulta chiara e ben strutturata.