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Heihachi è figlio di Shizuka, che è la nuora di Ruriko la locandiera. Discendono dagli Heike come tutti gli abitanti del luogo, ma un giorno suo figlio Akira tornò portando con se Shizuka, una Genji.

Shizuka ha trovato riparo tra i Genji dopo la brutale uccisione di Akira da parte di Kiyomori, ma Yoshitsune la tratta con la medesima brutalità che le mostrava la gente nemica.

Sulla tomba del padre di Heihachi - che indossa blu jeans e scarpe da jogging come un bambino dei giorni nostri, sono infatti piantate delle rose rosse.

Heihachi ha perduto la parola il giorno in cui ha dovuto assistere alla morte del padre. E' il frutto dell'unione tra una rosa rossa ed una rosa bianca, dell'amore che sfida le fazioni in lotta (Giulietta e Romeo?...).

Il pistolero decide di passare dalla parte dei Genji, chiedendo in compenso la donna.

Vince facilmente la resistenza di un bandito che la vuole per se, ma tra lui e Yoshitsune è evidente che esiste una incompatibilità assoluta. Il loro duello è solo rimandato, Yoshitsune non avrà pace finché non lo vedrà morto.

Prima di vedere lui solamente un altro combattimento a morte aveva desiderato: quello contro Benten la sanguinante,  misterioso demone marino raffigurata con una spada nella mano di una delle sue molte braccia.

 

 

La parte centrale del film è dedicata all'azione pura, e vi si moltiplicano gli episodi e le citazioni.

Non avrebbe alcuna possibiltà il tentativo di darne un resoconto dettagliato senza annoiare il lettore. Basterà accennarne per sommi capi.

Continuando nel suo doppio gioco lo sconosciuto tenta di provocare uno scontro sanguinoso tra le due bande, approfittandone per mettere il salvo le due donne ed Heihachi. Ma questa sua insolita prova di generosità, come negli archetipi, sarà la sua rovina.

Shizuka, Ruriko ed Heihachi vengono catturati dagli uomini dei Genji che minacciando di ucciderli costringono il pistolero ad arrendersi.

Nel frattempo gli Heike, allertati da un biglietto anonimo inviato dal pistolero, si sono messi sulle tracce di una misteriosa arma che sta per essere consegnata ai Genji.

Si tratta finalmente della famosa cassa da morto di Django, all'interno della quale si trova una micidiale mitragliatrice Gatling.

Gli assalitori però non riescono a strapparla in tempo alle mani di Benkei, che fa pagare loro un duro prezzo prima di scomparire nell'esplosione del carro delle munizioni, incendiato da una freccia. 

L'esplosione fa comicamente cadere la mitragliatrice accanto a Kiyomori, che se ne stava prudentemente al riparo attendendo la fine della gragnuola di colpi.

Il sopraggiunto Yoshitsune, troppo lontano per intervenire di persona, dopo aver accuratamente valutato con la scrupolosità di un giocatore di rugby che si appresta alla trasformazione distanza, direzione ed intensità del vento ed altre condizioni ambientali, arresta con infallibili colpi di pistola la fuga di Kiyomori.

Il suo braccio destro Shigemori arriva in soccorso, caricandolo sul suo cavallo per prendere la fuga.

Scatta immediatamente l'omaggio al grande Sergio Leone: Yoshitsune si avvicina al suo cavallo e svolge rapidamente l'involto che si trova al lato della sella, evidentemente già predisposto per quell'uso.

Appare una panoplia di armi a canna lunga, adatte per tiri alle grandi distanze. La scena è ripresa tale e quale da Per qualche dollaro ancora .

Nel modello originale non era un bandito ad escogitare questo stratagemma, era invece il Colonnello, ossia l'uomo dall'impermeabile nero, ad estrarre il suo arsenale per fermare il bandito cui stava dando la caccia per poterne riscuotere, come ovviamente farà, la ricca taglia.

Tra gli aneddoti curiosi sparsi tra le memorie dei collaboratori di Sergio Leone viene anche spiegata la probabile origine di quella caratteristica tenuta.

Alla ricerca di un attore americano che fosse in grado di sostenere la parte, ed avendo già ricevuto un diniego da parte dell'attore che costituiva la prima scelta, Leone riuscì a fissare un appuntamento con Lee Van Cleef in un bar, senza molte speranze perché da diversi anni era fuori dal giro per problemi di alcolismo e non sembrava affidabile.

Cadeva una fitta pioggia, e l'attesa fu lunga. All'improvviso entrò dalla porta un uomo alto, che indossava un impermeabile nero. Leone lo fissò a lungo e decise evidentemente non solo che quello era il suo uomo, ma che quell'impermeabile sarebbe stato il suo marchio di fabbrica.

E non basta: stiamo vedendo che l'impermeabile ha fatto carriera come il suo proprietario, anzi ne perpetua la memoria ad aeternum.

Per finire il suo avversario il Colonnello selezionava una pistola a canna lunga, vi applicava con attenzione il calciolo per il tiro di precisione, prendeva accuratamente la mira ed infine lasciava partire un unico colpo, che aveva il micidiale effetto che abbiamo visto all'inizio colpendo il bandito in piena fronte.

In Sukiyaki Django ci troviamo davanti il biancovestito Yoshitsune, che inforca un bianco cavallo, e non il nero Colonnello con il suo nero destriero.

Lo stratagemma e la scelta dell'arma finale sono tuttavia esattamente gli stessi.

Non sarà lo stesso il risultato: Kiyomori gli sfugge, pur ferito, allontandosi a cavallo con la mitragliatrice.

 

 

 

 

La resa dei conti si avvicina. Il pistolero viene come sempre succede catturato (in questo caso dai Rossi) e sottoposto ad un durissimo pestaggio, su cui il regista non tralascia alcun particolare.

E' un ingrediente necessario in praticamente tutte le vicende umane rappresentate sullo schermo ma anche sul palcoscenico o sulle pagine di un libro: l'eroe deve passare attraverso l'inferno per potersi redimere, rendersi conto dei suoi errori e delle sue debolezze umane, e nonostante tutto conquistare infine la vittoria.

Ma l'elemento catalizzatore della vicenda è qui invece la donna, limitata usualmente alle parti di preda e vittima innocente della follia degli uomini. Ruriko rivela la sua vera identità: è lei Benten la sanguinante, il demone contro cui Yoshitsune ha deciso di combattere pur senza averla mai incontrata. Impossessatasi di un'arma Ruriko uccide i Rossi che hanno appena infierito sul corpo della agonizzante Shizuka e libera il pistolero.

Inizia ora, ma concentrato in poche scene, il consueto vorticoso giro di agnizioni e rivelazioni che inquadra la vicenda in un contesto del tutto diverso da quello immaginato fino ad allora. Ruriko invia un messaggio per chiedere l'intervento in suo aiuto di un misterioso personaggio.

Quando lo vediamo, immobilizzato su una immaginifica sedia a rotelle meccanizzata, ci rendiamo conto che non è altri se non Piringo, ormai vecchio.

E' lui che ha addestrato Benten la sanguinaria (di cui vediamo una rappresentazione sullo sfondo). E' lui che l'ha resa madre di Akira.

Ed è lui infine che furioso per l'imperdonabile errore le diede una sonora lezione per ricordare questo precetto: nel sukiyaki non bisogna esagerare con lo zucchero! Ci vuole soprattutto la carne, il sangue...

L'esplosivo fornito da Piringo permette a Ruriko di darsi da fare, mentre in una capanna isolata, ricalcata da quella utilizzata da Sanjuro in Yojimbo il pistolero guarisce dalle sue ferite e riprende le forze.

Anche gli altri protagonisti della vicenda si preparano, ognuno a suo modo, alla catarsi finale che darà in premio al vincitore il tesoro.

Perché un tesoro materiale, custodito in segreto da Ruriko,  esiste davvero: una cassa stracolma di pepite d'oro (ed ovviamente identica a quella del Django di Corbucci), e scatenerà l'inferno.

Sarà sufficiente depositarlo in una giornata umida e ventosa in cui si azzarda ad uscire in mezzo allo stradone del paese, annunciandolo a quel che resta delle due bande con un colpo di pistola in aria. Il resto verrà da solo: si stermineranno tra di loro, con la fattiva partecipazione di Ruriko e del pistolero.

Alla inevitabile carneficina, in cui le morti grottesche si alternano in continuazione a quelle truculente, solamente il pistolero e Yoshitsune sono rimasti in vita. Per affrontarsi nell'immancabile duello da uomo ad uomo.

Per l'occasione inizia a cadere una fitta nevicata che in men che non si dica ricopre tutto con il suo manto. Non giureremmo che i fiocchi di neve siano gli stessi utilizzati negli altri innumerevoli film chambara dove non manca mai il duello o l'agguato sotto la nevicata. Ma certo che gli assomigliano molto.

Lo stesso Yoshitsune, entusiasta della trovata, non può fare a meno di esclamare "Ecco, questo si chiama un finale con classe!"

Di solito si lamenta in questi film l'introduzione della tecnologia che mortifica le virtù dell'essere umano: Si rimpiange la spada, rimpiazzata dalle armi da fuoco che rendono possibile donare la vita - o più spesso la morte - a chiunque ne sia in possesso.

Ora Miike rovescia un po' questa scala di valori. Il perfido Yoshitsune rinuncia alla pistola e si affida solamente alla spada. La manovra in modo impareggiabile, deviando con essa i proiettili che gli arrivano addosso o addirittura tagliandoli in due con un preciso fendente. Arrivati al corpo a corpo il pistolero usa come scudo improvvisato la sua pistola, che viene quasi completamente tagliata da un colpo di spada ma gli salva la vita.

E ricorre alla tecnologia; o se vogliamo ad un trucco, cui non rinunciavano né Sanjuro (il coltello nascosto nella manica) né il suo silenzioso alter ego cui Leone fa indossare una improvvisata corazza di metallo sotto il poncho, né Django quando elimina (a morsi!) il ponticello della sua Colt per poter sparare anche con le mani menomate dai colpi dei suoi nemici.

Il pistolero ha infatti un Derringer nascosta nella manica sinistra, con un meccanismo che la fa scattare nella mano a comando (come Robert De Niro nella scena finale di Taxi driver....). E sarà suo l'ultimo colpo.

Spesso le vicende si concludono ad un cimitero. Sukiyaki Django non fa eccezione.

Viene data sepoltura alle due coppie: Shizuka assieme ad Akira e Ruriko assieme a Toshio, che le ha dichiarato il suo amore solo quando entrambi agonizzavano crivellati di pallottole.

Il pistolero lascia al piccolo Heihachi il tesoro, una pistola ed un consiglio: essere sempre se stesso.

 

 

 

 

 

Sappiamo già che dovrà allontarsi senza mai guardarsi indietro. E' il destino di uomini, e donne, come lui.

Una beffarda scritta in sovrimpressione ci "spiega" intanto quale sarà il destino di Heihachi.

Alcuni anni dopo queste vicende andrà a vivere in Italia, dove diventerà Django.

L'apparente diistacco dei protagonisti di queste saghe stereotipe è meno drastico di come appare. Lo stesso antenato comune Sanjuro Kuwabatake, dopo avere abbandonato al termine di Yojimbo il villaggio dove ha appena terminato di fare piazza pulita andrà a cercarne un altro nel sequel: in Sanjuro il suo cognome diventa Tsubaki, ma la sua missione di eversore dell'eversione è sempre la stessa, e qualunque cosa lui dica deriva da una ricerca deliberata e cosciente e non gli viene assegnata dal caso.

Lo sapevamo già anche da Pronti a morire: qui vediamo la pistolera intabarrata Hellen (Sharon Stone) che in medias res abbandona a spron battuto il villaggio risoluta a non metterci più piede.

Ovviamente non potrà, dovrà arrestare la sua corsa dar di volta al cavallo e tornare ad affrontare il suo destino. Ci si può rifugiare occasionalmente nel deserto, ma solo occasionalmente.

Ci sarà sempre un villaggio ove combattere, che aspetta solo noi, nella buona o nella cattiva sorte.