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Yojimbo era stato un grande successo di pubblico, mentre la critica lo aveva considerato senza molte eccezioni una vacanza disimpegnata che Kurosawa aveva deciso di prendersi in attesa di ritornare su temi più alti.

Si è detto che questo successo fosse dovuto in gran parte al remake in chiave western girato da Sergio Leone (Per un pugno di dollari) ma chi lo sostiene si inganna: il film di Leone infatti è del 1964, e uscì inizialmente come un anonimo prodotto firmato con uno pseudonimo e destinato ai circuiti di periferia. Solo gradualmente si affermò tra il pubblico e venne infine scoperto - a posteriori - anche dalla critica.

Sanjuro che è invece del 1963 venne girato su richiesta dei produttori, che intendevano replicare immediatamente il successo immediato di Yojimbo e ricavarne altri interessanti guadagni. Kurosawa riprese quindi tra le mani una sceneggiatura che aveva scritto in precedenza sulla base di una novella di Shugoro Yamamoto, autore cui ha attinto anche per l'opera successiva, Barbarossa.

Cogliamo l'occasione per ricordare che Kurosawa fu molto critico nei confronti delle emulazioni (e un giorno vi diremo perché parliamo al plurale) di Sergio Leone:

Non avrei mai pensato di contribuire involontariamente alla nascita del western spaghetti! Ma perché rifare un film tale e quale  (a parte certe insistenze sulla violenza bruta) travisandone in parte lo spirito?

A me interessava il ritratto di un uomo fuori dall'ordinario che si batte con l'astuzia contro i mascalzoni per un'idea di giustizia.

Nel remake sembra che importi principalmente il numero dei morti e il modo in cui vengono uccisi; il sangue, la crudeltà e il cinismo hanno cancellato ogni sottofondo etico.

(da Pier Maria Bocchi: Akira Kurosawa, Il Castoro, 2007)

La versione originale della sceneggiatura prevedeva un protagonista non particolarmente versato per le armi, che piuttosto "duellava con la testa" raggiungendo i suoi obiettivi con l'astuzia.

Man mano che si andava avanti però le pressanti richieste dei produttori cambiarono la chiave di volta dell'intero edificio: Sanjuro diventava sempre più un uomo di azione, e la spada tornava protagonista.

In realtà sono molti di più nel film i tempi di attesa che quelli dedicati all'azione, spesso fulminea e in cui Sanjuro annienta i suoi avversari così velocemente che lo spettatore si rende conto che c'è stato un duello solo quando è già terminato.

A differenza di come si comportava in Yojimbo, sembra ora più riluttante a spargere sangue. Abbatte i nemici, incurante del loro numero, senza nemmeno estrarre la spada dal fodero. Ma quando decide di farlo i risultati sono terribili.

Sembrano i sintomi di un ripensamento in corso d'opera, almeno parziale, da parte di Kurosawa.

 

 

 

Forse dietro esplicita richiesta dei soliti produttori, vengono replicate diverse situazioni già viste in Yojimbo.

Ma Kurosawa le stravolge dando loro chiavi di lettura beffardamente diverse, come se si divertisse a sconcertare lo spettatore che pensa d sapere già quello che sta per succedere.

Qui vediamo la caratteristica scrollata di spalle, Kurosawa chiese che ricordasse quella di una cane, con cui Sanjuro commenta a modo suo la conclusione di avventure piccole e grandi, divertenti e tragiche.

L'antagonista Nakadai deve invece impersonare, seguendo le istruzioni del regista, il ruolo del serpente.

 

 

 

 

Il tono dell'intera opera è apertamente satirico, di un umore nero che si alterna alle scene di violenza ma non per questo coglie meno nel segno.

Sono aperti bersagli di Kurosawa un certo esagerato conformismo della società giapponese, e gli entusiasmi giovanili che portano direttamente dalla sognata "rivoluzione" alla catastrofe, passando attraverso la facile quanto errata identificazione del nemico da abbattere e dell'alleato cui legarsi.

Si direbbe quasi una profetica anticipazione di quanto si sarebbe visto poi con la "rivoluzione" giovanile del 1968.

 

 

 

 

 

 

Tra Sanjuro Kuwabatake e Sanjuro Tsubaki corre un'altra importantissima differenza.

Il primo accelera deliberatamente con le sue provocazioni il corso degli eventi, sembra che i momenti di stasi lo annoino profondamente.

Il secondo ha la tendenza a dilazionare, a rimandare e ad attendere e una sostanziale vistosa pigrizia, e non è facile valutare fino a che punto sia autentica e dove invece cominci la simulazione per trarre in inganno sia amici che nemici.

Proprio per questo i momenti in cui passa all'azione arrivano del tutto inaspettati, sorprendendo ed avvincendo lo spettatore, e i suoi giudizi impietosi e chirurgicamente precisi sorprendono i suoi improvvisati alleati.