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Nel 1858 venivano richieste da Gran Bretagna, Russia, Olanda e Francia, diverse estensioni ai trattati firmati dopo la seconda spedizione Perry. Nonostante il parere sfavorevole della corte imperiale che le riteneva estremamente nocive per gli interessi del Giappone e cariche di clausole vessatorie e infide, le richieste vennero accolte. Ma l’mperatore Komei nel 1864 rifiutò definitivamente di ratificarle, dopo avere a lungo tergiversato negli anni precedenti.

I sentimenti di rancore verso gli stranieri erano largamente condivisi dalla popolazione: nessuno dei vantaggi promessi si era concretizzato, le disinvolte abitudini commerciali degli stranieri seminavano disagio, e numerosi incidenti avevano turbato la nazione. L’assassinio del plenipotenziario Naosuke che conduceva le trattative e quello di un commerciante britannico causarono spietate rappresaglie occidentali. Il bombardamento di Kagoshima da parte della flotta inglese, il cannoneggiamento ripetuto di Shimonoseki per rappresaglia contro le dimostrazioni xenofobe autorizzate dall’Imperatore per evitare sommosse popolari, altri bombardamenti ancora nell’agosto e settembre del 1863. Questi atti di guerra vera e propria causarono gravi perdite nella popolazione civile e gravi turbamenti sociali e politici.

Lo shogûn venne ufficialmente convocato a corte, una procedura ormai inusitata, dove l’imperatore gli comunicò ufficialmente tutta la sua avversione per gli stranieri. Ma lo shogunato era ancora abbastanza forte per resistere. Anche in armi se necessario. Dopo oltre due secoli di pax Tokugawa, le truppe dello Shogûn scesero in campo, riportando una vittoria sanguinosa ma non duratura contro i restauratori, un assemblamento disomogeneo di milizie irregolari reclutate tra i feudi del sud e di truppe imperiali prive di reale efficacia bellica in quanto abituate da secoli a meri compiti di rappresentanza.

Nel 1867 il destino sembrò scendere definitivamente in campo dalla parte dello shogûn: decedeva nel 1866 lo shogun Iemochi.

Gli succedeva al potere l’energico Yoshinobu Tokugawa detto Keiki, cultore delle arti marziali e già comandante delle truppe che avevano respinto l'attacco dei ribelli di Satsuma e Soshu.

Aveva all'epoca 30 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Poco dopo, nel gennaio 1867, scompariva improvvisamente a soli 36 anni l'imperatore Komei. Saliva al trono imperiale il sedicenne Mutsuhito, che sembrava destinato ad essere una facile preda del suo antagonista.

E fu invece proprio questo ragazzo, passato poi alla storia col nome di Meiji (che caratterizzò secondo l’usanza giapponese anche l'epoca del suo regno), a far pendere il piatto della bilancia dalla sua parte ed in seguito a governare l'inevitabile per quanto traumatico cambiamento radicale della nazione giapponese.

Qui lo vediamo in una litografia di autore anonimo ma probabilmente ripresa da un ritratto ufficiale di Edoardo Chiossone, pubblicata nel 1893 da Kumazawa Kitarō III; raffigura l'imperatore Meiji e la sua consorte in abiti occidentali. Una doppia sconvolgente novità per la società giapponese, nella quale non era consueto diffondere immagini dell'imperatore, nessun occhio profano poteva guardarlo, e meno che mai in abbigliamento non convenzionale.

Sommerso dalle contestazioni, soprattutto da parte degli aristocratici e delle classi dirigenti, lo shogûn Yoshinobu con gesto teatrale rassegnava nel 1868 le dimissioni dalle sue cariche e funzioni nelle mani dell'adolescente imperatore Meiji.

Secondo la complessa procedura giapponese quest’atto non diminuiva minimamente il suo potere effettivo, ma nessuno aveva previsto che Meiji accettasse queste generiche dimissioni, il 3 gennaio del 1868, precisando minuziosamente caso per caso a quali poteri lo shogûn aveva rinunciato definitivamente. Nonostante la loro ostinata resistenza protratta fino al 1869 inoltrato, i seguaci dello shogûn avevano ormai perduto la loro battaglia.

L’Imperatore proclamava nello stesso 1868 la Carta dei cinque articoli che poneva fine al sistema di divisione per classi, incoraggiava lo studio delle scienze occidentali e iniziava lo smantellamento delle strutture di potere del clan Tokugawa e del sistema feudale stesso. Era forte dell’appoggio dei daimyo del sud, soprattutto Satsuma e Soshu, che spontaneamente rimettevano nelle sue mani tutti i loro feudi. Ormai anche i più fieri oppositori dell’apertura si rendevano conto che non era possibile chiudere di nuovo le porte del Giappone, ma erano ben decisi a non permettere colonizzazioni selvagge come quelle che stavano subendo la Cina ed altre nazioni dell’est asiatico. Il Giappone si sarebbe aperto al mondo, ma alle sue condizioni, cambiando radicalmente la propria struttura sociale ma senza rinunciare alle sue tradizioni.

Dopo una breve ma cruenta guerra, le truppe imperiali appoggiate dai feudatari del sud ebbero ragione di quelle shogunali. Al termine di una difficile trattativa condotta dal maestro Yamaoka Tesshu, lo shogun si arrese, ottenendo salva la vita. Yoshinobu Tokugawa si ritrò a vita privata, scomparendo nel 1913.

E’ facile vedere che la reazione giapponese al trauma causato dall’arrivo in armi praticamente indisturbato dei “barbari” sul sacro suolo del Giappone era allo stesso tempo di attrazione fatale e istintiva repulsione. Furono sicuramente molti i giapponesi che si erano resi immediatamente conto che nulla sarebbe mai più stato come prima, ma molto variegate, di segno addirittura completamente opposto, le loro reazioni pratiche.

A livello politico sconvolgimenti inimmaginabili di stati di fatto ormai quasi millenari scuotevano la coscienza delle classi dirigenti: il governo dello Shogun arrivava al termine della sua parabola. L’Imperatore riprendeva la guida materiale del paese: tramontava l’epoca Tokugawa, nasceva l’era Meiji.

Ci fu chi sposò immediatamente la causa del cambiamento, ci fu invece, e tra loro molti adepti delle arti marziali, tentòestreme quanto disperate ribellioni. Ma invano.

Come più o meno negli stessi anni si tramanda abbia detto il principe Salinas nella sua Sicilia sconvolta dalla spedizione di Garibaldi, “tutto doveva cambiare perché nulla cambiasse”.

Nella stampa a fianco, di Tsukioka Yoshitoshi: ritratto di Komagine Hachibei; stampa della serie
Cento guerrieri scelti da Yoshitoshi.

In questa serie che avrebbe dovuto rappresentare leggendari eroi della storia giapponese, erano in realtà raffigurati gli sfortunati protagonisti della ribellione di Satsuma.

 

 

 

Nel 1871 venivano definitivamente aboliti i privilegi della classe militare. La classe dei samurai, punta di lancia e nucleo allo stesso tempo del sistema feudale dei Daimyo, veniva soppressa.

Veniva proibito nel 1876 il porto delle due spade da parte dei samurai, causando enormi reazioni emotive che sfociarono un anno più tardi nella ribellione armata condotta da Saigo Takamori, che era stato negli anni precedenti uno dei più validi generali della fazione imperiale, nella bellicosa terra di Satsuma.

Accorsero samurai da ogni parte del Giappone, per opporsi in armi alla forzata modernizzazione del Giappone, ma l'esercito imperiale che nel frattempo si era inquadrato ed equipaggiato modernamente, ed era assistito da numerosi consiglieri militari, ebbe ragione di loro. Quando ogni resistenza fu vana Takamori, assieme al suo stato maggiore, si tolse la vita.

Nella stampa di Tsukioka Yoshitoshi: Saigo Takamori e il suo luogotenente Kirino Toshiaki vergano il loro poema di addio, in attesa dell'assalto finale delle truppe imperiali. Stampa pubblicata nell'ottobre 1877 da Matsumura Jinbei.

Ma se Meiji sembrava avere bruscamente invertito la sua politica, accettando il processo di modernizzazione ed apertura delle frontiere che aveva solo pochi anni prima combattuto con le armi, era per poter pilotare l'ormai non procrastinabile processo innovativo, preservando al tempo stesso la tradizione millenaria della cultura giapponese.

Tsukioka Yoshitoshi: rappresentazione di gagaku (musica di corte) durante la festa delle bambole (Hina Matsuri) al palazzo imperiale. Pubblicato da Inoue Mohei III nel 1880. Inevitabile notare come lo stesso artista rappresenti e celebri nelle sue opere sia i ribelli di Satsuma che lo splendore della corte imperiale e dell'Imperatore stesso, qui raffigurato nel costume tradizionale assieme alla sua sposa.

Iniziava anche tra le altre cose un processo travagliato da cui dovevano poi nascere diverse generazioni più tardi le arti marziali moderne, che trovavano nuove motivazioni e nuovo slancio vitale in quello che ormai sembrava un fuoco destinato a spegnersi per sempre.

Dopo una generazione di transizione, formata da maestri di enorme spessore tecnico e spirito marziale indomabile, reduci materialmente o idealmente dalla sanguinosa ribellione di Satsuma soffocata col sangue dei samurai, che si lanciavano all’attacco sguainando le nude lame contro i fucili dell’esercito (ormai equipaggiato ed addestrato all’occidentale e arruolato mediante leva obbligatoria, non più formato di guerrieri), venne una nuova generazione di maestri che seppero trovare una nuova tensione ideale, che seppero indirizzare verso fini ben più alti le loro energie e il patrimonio di conoscenze dei loro avi.

L'imperatore Mutsuhito, conosciuto come Meiji il grande, il primo imperatore tornato ad esercitare dopo un millennio il potere temporale, scomparve nel luglio del 1912, precedendo di poco la scomparsa del suo nemico di alcuni anni prima, l'ultimo degli shogun Yoshinobu Tokugawa.