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Ogni battaglia chiede un pesante tributo, tanto più duro da sopportare quanto più importante è la perdita. Il gioviale Heihachi, che trascinava alla risata indifferentemente guerrieri e paesani con la sua incorregibile allegria, è la prima vittima dei fucili dei predoni, contro cui non è possibile alcuna difesa.

Guerrieri e contadini, accumulati dal dolore delle prime perdite, sentono serpeggiare dentro di loro il dubbio, la paura, il germe della sconfitta. Davanti a loro, nel piccolo cimitero del villaggio, la tomba di Heihachi sormontata dalla sua spada. Lo sconforto si diffonde.

Inaspettatamente  (o forse no?) è il più istintivo, il più selvaggio di loro, il rozzo Kikuchiyo, a mostrare la maggiore lucidità e sensibilità.

La sensibilità di un uomo forte che nel momento del dolore non sente affievolirsi il senso del dovere, ma anzi trova lo sprone per esaltarlo. Kikuchiyo dopo aver tentato invano di rincuorare gli animi, non trovando parole o gesti che potessero esprime i suoi sentimenti, ha preso la bandiera che proprio Heihachi aveva preparato, e l'ha innalzato sopra il tetto di una capanna.

 

 

 

E' un drappo rudimentale dipinto alla buona ma che racchiude in se il sublime concetto dell'unione tra esseri umani per il raggiungimento di un alto fine comune: sette simboli indicano i sette samurai, raccolti sotto la guida carismatica di Kanbei.

Un ultimo simbolo rappresenta il piccolo villaggio anonimo per cui sette uomini d' arme hanno messo in gioco la loro vita, in cambio di un pugno di riso.

Il drappo scosso dal vento scuote le coscienze degli uomini e delle donne, che rimangono a lungo a fissarlo, affascinati: tornano a rendersi conto che il modo migliore - anzi l'unico - di rendere onore ai caduti è di portare fino in fondo la missione per cui essi hanno perduto la vita.

 

 

 

 

L'indomani ci sarà un'altra battaglia: ma il villaggio è pronto a combatterla.