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Il momento topico di ogni battaglia si fa sempre attendere, forse mai arriverà, e certamente l'attesa è una parte che conta più che l'azione, nella vita di ogni essere umano. Ce lo insegnano tante altre opere dell'ingegno umano, e qui valga ricordare solamente Il deserto dei Tartari, di Valerio Zurlini, raro esempio di film pienamente rispettoso della forma e della sostanza di un libro, quello in cui Dino Buzzati ricostruiva nell'ambiente immaginario di una guerra di frontiera l'eterna attesa della vita, come da lui percepita negli anni del praticantato nella redazione del Corriere della Sera, negli anni 30. Il protagonista, il tenente Drogo, consuma la sua vita nella fortezza dove si attende dello scontro con gli attaccanti che verranno dal deserto, e morirà incompiuto alle soglie del conflitto che ha atteso per tutta la vita.

Anche i sette samurai dovranno consumare il loro tempo in una lunga attesa, al cui confronto sembreranno volare in un attimo le sequenze dedicate al combattimento vero e proprio contro i briganti.

Sembra rimanere il problema di come utilizzare Kikuchiyo, che appare più interessato alle donne del villaggio, ricomparse dal nulla quando la loro presenza è diventata necessaria per il raccolto, che ai suoi "compiti istituzionali".

Ma non sarà un'attesa inutile, né per lui né per gli altri: avranno modo di responsabilizzare i contadini, trasformarli in un esercito improvvisato ma consapevole del proprio ruolo e della propria dignità, dignità che i guerrieri dovranno loro riconoscere, quando meno se l'aspetterebbero.

 

 

 

Il raccolto è anche la preda che aspettavano gli uomini in agguato di fuori. Quando ormai samurai e paesani hanno avuto modo di costruire un inedito amalgama di capacità e debolezze, di coraggio e timore, che si dimostrerà sorprendentemente efficace e compatto, finalmente eccoli, arrivano: i briganti.

Al riparo delle barricate e delle trincee che hanno costruito durante l'attesa, ecco finalmente l'oggetto stesso dell'attesa, il nemico: in fin dei conti colui che ha reso necessaria la presa di coscienza e la crescita interiore dei guerrieri e dei contadini.

 

 

 

 

 

 

 

Inizia finalmente la contesa, i pensieri finalmente se ne vanno, non c'è più posto per loro e si pensa solamente al combattimento. Le barricate hanno lo scopo di incanalare gli attaccanti attraverso passaggi obbligati ove il pugno di samurai non venga soverchiato dal loro numero.

Allo stesso tempo i contadini, addestrati sommariamente all'uso di armi di fortuna, semplici canne di bambu appuntite per usarle come lance, possono agire in gruppo rincuorandosi ed appoggiandosi l'un l'altro, e ritrarsi velocemente al riparo quando si trovino in difficoltà, mentre sbarramenti mobili impacciano l'azione degli attaccanti.

 

 

 

 

 

Da un improvvisato quartier generale Kambei osserva, tiene una meticolosa contabilità delle perdite tra le sue truppe e tra quelle nemiche, manda i suoi ordini ed interviene di persona quando necessario.