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Le armi del samurai conservano intatto attraverso i secoli il loro valore simbolico: il tachi è divenuto ormai in epoca Edô soprattutto arma di rappresentanza.

Il daimyô è costantemente seguito da un attendente che porta il suo tachi, tenendolo in posizione verticale ed impugnando il fodero con un panno, in segno di un rispetto e per non danneggiarne la preziosa lacca, che deve proteggere la lama dal clima umido del Giappone.

Ancora oggi lo yokozuna, il campione di sumo, è accompagnato al suo ingresso protocollare nel dohiô da un attendente che ne impugna il tachi.

 

 

 

La katana del samurai ne rispecchia la personalità e lo stile di vita.

Viene quindi richiesto cortesemente di esaminarla quando si valuta se prenderlo al proprio servizio quando libero da impegni (ronin: uomo onda).

Per alcuni la vita errante è una scelta di vita, per altri un passaggio necessario per comprendere la propria missione.

La vita erratica di questi samurai li pone infatti a contatto con diverse scuole di spada, permettendo loro una migliore visione d'assieme dei principi delll'arte.

 

 

 

 

Anche il corredo rispecchia la natura del samurai, che lo sceglie curando che sia coerente con la sua filosofia.

Questo wakizashi di epoca Kambun è montato in stile aikuchi, normalmente utilizzato per i tantô.

I menuki, borchie applicate al manico per migliorarne la presa, rappresentano corvi. Il kozuka, coltello di servizio inserito nel fodero, rappresenta simbolicamente un samurai, sotto le sembianze di un gufo che sopporta impassibilmente lo scherno dei corvi. Attenderà la notte per reagire, nel suo ambiente preferito, senza lasciarsi condizionare dagli avversari.

 

 

 

 

E' in questa epoca che si inizia a praticare l'arte della spada nelle corti delle dimore signorili.

La disposizione dei dojo tradizionali si mantiene ancora oggi fedele a questa tradizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In epoca moderna si tende a sottovalutare la valenza formativa delle antiche discipline (koryu) attribuendo loro soltanto quell'efficacia pratica che si vuole, perduta nelle discipline moderne.

Questo discorso va affrontato con cautela. Non ha alcun senso considerare ad esempio lo  iaidô o battodô come una iscipline di combattimento, collocandosi esso in contesti avulsi dalla realtà.

Sappiamo infatti che il porto della katana era regolamentato, ed era espressamente vietato all'interno dei locali pubblici e delle abitazioni private.

In questa scena tratta da un film del maestro Kei Kumai vediamo infatti un brusco invito ad allontanarsi rivolto ad un samurai: gli viene porta la sua spada, senza rivolgergli alcuna parola ma facendogli inequivocabilmente capire che deve riprenderla ed uscire.

 

Se ne deve concludere che gli esercizi base di estrazione della spada dalla posizione di seiza tenuta normalmente all'interno degli edifici, privati o pubblici, non hanno pretese di realismo.

La vera ragione d'essere di queste discipline risiede in ambito superiore: nella necessità di forgiare lo spirito del guerriero obbligandolo a confrontarsi con se stesso prima di pretendere di affrontare qualunque avversario, che gli viene anzi momentaneamente - ma forse per sempre - sottratto.

 

 

 

 

 

L'equilibrio ultramillenario che ha reso possibile in Giappone ed anzi necessaria la nascita della cultura della spada ed il suo successivo fiorire, è destinato ad infrangersi.

Si avvicina Il tramonto dell'epopea samurai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla metà del XIX secolo il volontario isolamento esterno deciso dai Tokugawa non appena preso il potere, nel 1600, venne interrotto con la forza, con l'arrivo di una flotta statunitense nella baia di Uraga, ad occidente di Edô, al comando dell'ammiraglio Perry.

Sotto la minaccia dei cannoni i rappresentanti dello shogun vennero costretti ad aprire le frontiere ed a firmare dei trattati comemrciali, ed immediatamente dopo a fare lo stesso con i rappresentanti di numerose altre potenze straniere.

 

 

 

 

 

I tradizionalisti, decisi a ricacciare gli stranieri ad ogni costo, reagirono immediatamente, con attentati e azioni di guerriglia.

Gli agguerriti feudi meridionali di Tosa, Choshu e Satsuma, oltretutto quelli maggiormente esposti alla aggressività delle potenze straniere,  chiedono l'intervento dell'autorità imperiale per annullare le decisioni dello shogun.

Nel 1868 sale al trono il giovanissimo imperatore Meiji, che regnerà fino al 1912.

Sembra una facile preda per la dinastia Tokugawa, che ha consolidato il suo potere da oltre 250 anni.

Sarà invece lui a guidare il Giappone nel travagliato processo di trasformazione.