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Sempre a Roma al Palazzo delle Esposizioni, nelle sale al piano superiore, era visitabile fino al marzo 96 una mostra delle fotografie di Felice Beato ed altri artisti attivi in Giappone nella seconda metà del 1800, conservate negli archivi della Alinari a Firenze.

E' sempre per me un piacere ed una sorpresa (anche se dovrei parlare piuttosto di una conferma) quando scopro nelle parti più disparate del mondo le vistose tracce del passaggio remoto di qualche avventuroso italiano. Felice Beato è uno di essi, ed ha percorso il Giappone in lungo ed in largo armato della sua fedele macchina fotografica, immortalando personaggi e paesaggi che sarebbero altrimenti scomparsi da tempo dalla memoria di ognuno.

Sulla rivista Fotografare del gennaio di quell'anno Cesco Ciapanna affermava che si fosse trattato in realtà di falsi elaborati all'inizio di questo secolo, essendo il procedimento fotografico di Beato (una emulsione sensibile a base di albumina, più o meno la volgare chiara d'uovo, da usare lo stesso giorno della preparazione perché‚ soggetta ad un rapidissimo degrado) impossibile da prepararsi in viaggio.

Lo segnalo più che altro a titolo prudenziale, non trovandomi d'accordo con Ciapanna: sempre su Fotografare già alcuni anni prima venne illustrato il sistema di preparazione dell'albumina, che è non affatto complicato, tuttalpiù noioso. Inoltre va notato che la maggior parte delle foto di Beato è stata eseguita in studio, come quella a fianco (albumina colorata ad acquarello) dove la preparazione dei materiali non avrebbe dunque presentato alcuna difficoltà.

Estremamente difficile proporre o suggerire cosa andare a vedere ancora nel quadro di Giappone-Italia. Non ce lo consentono la data di uscita e distribuzione di questo numero (la prima stesura di questo articolo venne pubblicata sulla rivista Aikido edita dall'Aikikai d'Italia) e la disseminazione geografica sul territorio nazionale delle mostre, che è peraltro una benedizione: ognuno potrebbe trovare qualcosa da andare a vedere vicino casa sua.

Segnalo alcune delle mie preferenze personali (un criterio come un altro). Io sarei andato a Milano per vedere la mostra «Kinkô, i bronzi orientali della raccolta del Castello Sforzesco». Nei sotterranei del castello sono nascosti dei tesori inimmaginabili, come le magnifiche spade esposte circa 15 anni fa. Quanto alla raccolta di bronzi, era la prima volta che rivedeva la luce dal 1939.

Naturalmente non avrei mancato di assistere a qualche rappresentazione della tournée del «Grand Kabuki». Nella foto vediamo il famoso artista Tomijuro nei panni di Musashibo Benkei, nel dramma Kanjinoho.

Si tratta della vicenda narrata anche da Akira Kurosawa nel suo Tora no ofumu otokotachi, di cui parliamo altrove. Al proposito ci corre l'obbligo di segnalare che tra le personalità artistiche che hanno voluto inviare un messaggio di auspicio per l'ottima riuscita di Giappone-Italia vi era anche lui.

Ricordava con nostalgia i mesi  trascorsi a Roma in occasione delle Olimpiadi del 1960, in vista di un suo impegno in quelle che si sarebbero tenute poi a Tokyo nel 1964 che vennero invece filmate infine da Kon Ichikawa. E non nascondeva che tra i suoi ricordi più cari dell'Italia, oltre agli incontri con i colleghi Fellini e Antonioni, c'erano i cartocci di fritto acquistati e consumati per strada a Roma.

Ed avrei avuto un occhio di riguardo per il «Tah-teh» del maestro Masahiro Kunii: in prima mondiale a Roma l'8 novembre 95 (e sì, adesso è tardi) questo coreografo e danzatore, yudansha di judo ed aikido, presentava la sua opera «Japan Motion», in cui sfruttava le tecniche di combattimento coreografico insegnate in Giappone da secoli nelle scuole teatrali. Seguiva uno stage di 6 giorni per chi avesse voluto apprendere i rudimenti dell'arte.

Ma forse qualcuno farà ancora in tempo per precipitarsi a vedere il «Gagaku», le fastose e fantasmagoriche musiche e danze della Corte Imperiale, in programma a Roma, Milano e Venezia tra aprile e maggio.