Sono trascorsi oggi 8 anni dalla scomparsa di Fujimoto sensei. Se è scomparso dal mondo della materia è però sempre presente nelle nostre menti e perfino nel nostro corpo, attraverso quel poco o quel tanto, entrambi hanno la medesima dignità, che siamo riusciti ad assorbire del suo insegnamento.
Il rimpianto e il dolore, entrambi inevitabili e dovuti, devono però lasciare spazio anche ad altro genere di riflessioni. Fin dal primo momento che “scegliamo” un maestro, una figura di riferimento, sappiamo che dovremo un giorno separarci da lui in quanto si tratta con ogni probabilità di una persona di maggiore età e di conseguenza esperienza, un “anziano”, che le leggi della natura porteranno via prevedibilmente prima di noi. Come dobbiamo inesorabilmente separarci da chi ci ha generato e poi guidato nei primi passi sul sentiero della vita.
Non cambia sostanzialmente il senso di questa riflessione nemmeno in circostanze solo apparentemente diverse: Fuji aveva solamente un anno più di me, pensavo che avremmo condiviso il percorso praticamente fino alla fine. Il destino non lo ha voluto. Mi è sembato contro natura.
Ma lo scopo del maestro è di creare indipendenza. Non dipendenza. E' necessario a un certo punto che il discepolo sia in grado di fare a meno dell'indottrinamento. E' questo il vero senso di un detto di cui si è fatto uso ed abuso fino alla nausea, e quasi sempre a sproposito: “uccidere il proprio maestro”. E non è raro il caso, se e quando il discepolo non è in grado di capire da solo quando è arrivato quel momento, o pur comprendendolo non ha il coraggio di affrontarlo, che sia proprio il maestro a rammentargliene la non prorogabile necessità.
Tutti sanno che il sottoscritto ha il massimo rispetto e la massima considerazione per tutte le figure portanti che lo hanno aiutato se non a crescere perlomeno ad andare faticosamente avanti sul cammino da loro indicato. Primo fra tutti per statura Tada sensei ma più vicini anche per ragioni anagrafiche Fujimoto sensei e Hosokawa sensei. Sono tuttavia legato indissolubilmente soprattutto a Hosokawa, per aver condiviso il cammino con lui quotidianamente, per lunghi anni. Al momento di separarci, in seguito alla sua decisione di trasferirsi altrove, intuì che da qualche parte nel mio animo albergava del risentimento. Non importa se giustificato o meno. Mi cercò e mi parlò. Confessandomi dapprima di non essere riuscito a gestire al meglio questa separazione, e scusandosene.
Rammentandomi poi che la separazione sarebbe stata prima o poi inevitabile, e non era negativo che avvenisse per circostanze esterne, senza un intervento mirato delle nostre volontà, per destino. Era bene che io iniziassi a camminare da solo, senza il suo supporto. Se questo si fosse dimostrato impossibile, sarebbe stata la dimostrazione inequivocabile del suo fallimento: il maestro deve garantire che l'arte non perisca con lui, che continui attraverso l'operato dei suoi discepoli. Il distacco è una verifica necessaria. Anche quando crudele, traumatico, prematuro.
Certamente la separazione fisiologica, di cui abbiamo scelto noi il momento e le modalità, è dolce: permette infatti di continuare il rapporto, e senza il vincolo di dipendenza. Il discepolo, che tale sempre rimarrà, tornerà dal maestro non perché ne ha un bisogno materiale, perché deve apprendere o migliorare il suo irimi o il suo tenkan. Ma perché ne ha piacere, e il piacere sarà reciproco. Non che per questo cessino l'insegnamento e l'apprendimento: saranno a livelli più alti, meno facilmente definibili, meno materiali. Forse saranno tali da poterci spendere il termine “alto”, ma certamente incideranno meno superficialmente nel discepolo, certamente se ne appagherà maggiormente il discente.
Ma verrà anche in quel caso il momento della separazione definitiva. Oggi, soprattutto oggi, ma anche domani, e ogni altro giorno che verrà, abbiamo il dovere di essere ancora assieme a Fujimoto sensei, di averlo ancora dentro di noi. E possiamo essere consapevoli, ed essere confortati nel saperlo, che quella parte di lui che vive in noi è autentica, unica. Voluta da lui, e solo per noi. Perché l'insegnamento del maestro è rivolto a tutti, ma ogni seme ha poi il suo differente destino.