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L'aikido si è molto trasformato nel tempo, è in realtà in continuo divenire, e chi pratica da diversi anni lo ha già sicuramente potuto apprezzare di persona. Ancor più del trascorrere del tempo, lo hanno però probabilmente cambiato proprio i praticanti.

 

Non essendo più l'aikido da alcuni decenni  un'arte marziale per pochi intimi, per una élite, ma indirizzata a tutti, in tutto il mondo, e praticata da centinaia di migliaia di persone, le tecniche si sono trasformate, evolute. Ma si è trasformata ed evoluta anche e soprattutto la mentalità con cui si pratica l'aikido.

 

L'esame è ora, molto più di prima, un insostituibile punto di riferimento per l'allievo: attraverso il programma di esame ha modo di conoscere le tappe cui deve passare volta per volta e i tempi previsti di apprendimento.

 

Presentandosi all'esame ha modo di controllare se sta procedendo correttamente sulla via o se deve ritornare sui propri passi, o più semplicemente fare qualche adattamento, prima di potere andare avanti.

 

L'esaminatore che priva l'allievo di questa verifica e lo promuove per un malinteso senso di magnanimità anche in presenza di lacune, insufficienze o ritardi, lo sta in realtà privando in un necessario punto d'orientamento.

 

Quanto appena detto è ancora più vero per allievi che non siano a stretto contatto con la sorgente dell'aikido, per motivi di lontananza e/o per motivi culturali. E tutti noi occidentali rientriamo in questa seconda categoria per quanto la distanza tra i due diversi mondi dell'occidente e dell'oriente si sia notevolmente attenuata. Era naturalmente meno necessario in ambiente ristretti che consentivano frequenti contatti se non addirittura comunanza di vita tra maestro ed allievo. Siamo quindi noi ad avere bisogno degli esami, ed in pratica anche quando li temiamo e li malediciamo siamo noi a richiederli o addirittura a pretenderli.

 

Questo soprattutto perché la mentalità media occidentale è statica, ha bisogno di un salto culturale per apprezzare la filosofia dinamica dell'aikido e delle discipline orientali in genere. Sarà meglio spiegarsi con un esempio: quasi tutti gli allievi che si presentano per l'iscrizione ad un corso di aikido chiedono quanto tempo ci vuole per diventare "cintura nera", scambiando per un obiettivo lontano, se non addirittura per quello finale, quello che è solo un passo preliminare: shodan, "grado iniziale", è infatti la dicitura che riportano i diplomi dello Zaidan Hojin Aikikai.

 

Spesso non basta spiegare che la tempistica in aikido non ha molta importanza perché l'arte non si può comprare", qualunque sia la mercede; che si concretizzi in denaro, in allenamento, in esami, non abbiamo a che fare con un bene durevole da poter fare nostro per sempre. L'aikido è piuttosto una sorta di "albero" ma non basta seminarlo: va nutrito e curato quotidianamente, solo così ci fornirà in cambio un alimento - non solamente materiale - che ci accompagnerà per tutta la vita. Di conseguenza il raggiungimento di un grado è un utile punto di riferimento, ma non cambia nulla nella vita e nella pratica dell'aikido.

 

Difficilmente tuttavia si convincerà con questi argomenti chi si presenta per la prima volta sul tatami. L'uomo medio occidentale pensa alla cintura nera, ma anche al sesto kyu, obiettivo immediato, o a qualsiasi altro pezzo di carta, come alla prova di possesso di un qualche cosa: il possesso di un diploma attesta la condizione dell'individuo, e la garantisce a vita.

 

Non che manchino in occidente le persone che hanno individuato il problema e lo hanno denunciato, ma queste denunce sembrano sempre riguardare qualcun altro, e raramente si accetta l'idea di essere toccati in prima persona dalla questione. Già molti anni fa il grande attore comico Ettore Petrolini ironizzava su questa mentalità, nel suo famosissimo Nerone:

 

L'imperatore Nerone (entrato sulla scena in bicicletta, come ogni imperatore che si rispetti) prometteva alla folla vociante di ricostruire Roma, dopo l'incendio che l'aveva totalmente sconvolta, "Più grande e più superba che pria", buscandosi sonore approvazioni e rispondendo con un "Grazie!". Contentissimo replicava, ma ogni volta un clacqueur malaccorto gridava a squarciagola "Bravo!" prima che lui potesse terminare la frase. Dopo una serie di frenetici tentativi sempre sconfitti dall'improvvido ed intempestivo clacqueur, questa era la morale che ne traeva Petrolini-Nerone: "Er popolo, quando s'abitua che sei bravo, pure se nun fai gnente sei sempre bravo!".

 

Per una piena comprensione sia della singola battuta che di tutta la pièce, si consideri che eravamo nel pieno del ventennio fascista, e Nerone esibiva un mascellone ed un repertorio di atteggiamenti di chiaro stampo mussoliniano e per giunta, a fugare ogni dubbio sui suoi bersagli, un bel paio di baffetti.

 

Dobbiamo però avvertire che la fin troppo facile identificazione dell'obiettivo della satira petroliniana è in realtà fuorviante: la metafora di Petrolini puntava su Mussolini, è ovvio, ma in realtà additava come responsabili della situazione tutti noi che ci affidiamo per frettolosi giudizi a segni esteriori non significativi.

 

Che siano divise da operetta, discorsi roboanti del dittatore di turno, o pezzi di carta chiamati diplomi.

 

La conseguenza che ci riguarda più da vicino di questa diffusa mentalità, è che chi viene respinto ad un esame troppo spesso respinge anche il messaggio, o lo fraintende; o non pensa nemmeno lontanamente che possa essere stato indirizzato a lui se non per errore. Non ammette di aver ricevuto delle utili indicazioni sulla strada da percorrere, crede invece che gli sia stato sottratto il godimento di un qualche bene (immaginario ed inesistente) da lungo tempo atteso e pagato in anticipo attraverso lo studio costante e diligente, o almeno presunto tale.

 

Nella pratica dell'aikido l'esame deve essere invece un appuntamento che si prende col giusto anticipo, siano mesi od anni, in modo da potersi preparare al meglio. Che serve a verificare se si è ben lavorato e se si sta camminando sulla strada giusta; che non è la prova di avere ottenuto o meno alcun riconoscimento materiale. L'esame potrebbe essere paragonato al terrazzino di sosta durante una arrampicata in montagna: è la fine di un tratto ed allo stesso tempo l'inizio del tratto successivo. Chi molla la presa, chi allenta la tensione una volta superato l'esame, cade. E quanto più era salito in alto, tanto più rovinosa sarà la caduta.

 

Man mano che si sale ovviamente l'esame diventa anche più duro, non perché‚ qualcuno voglia renderlo tale, ma perché la via, qualunque sia la via  che abbiamo scelto, se è bella ed affascinante sarà anche, dovrà essere, impegnativa.

 

Questo contrasta con le aspettative di molti, che avrebbero pensato al contrario di avere un cammino più facile man mano che procedono nella conoscenza. E' vero in parte. Ma la maggiore consapevolezza, la maggiore serenità mentale, debbono essere il viatico per la conquista di obiettivi ancora più impegnativi, non l'alibi verso il disimpegno.