Nel 1965 (avevo ancora i pantaloni corti, o poco ci mancava), feci la mia conoscenza con l'Aikido, e con la persona che per molti anni per me ha continuato ad impersonarlo ed incarnarlo, il maestro Hiroshi Tada.


Il gruppo sportivo di cui facevo parte aprì infatti quella che veniva vantata come la prima palestra europea di aikido - cosa assolutamente non vera ma era bello sognare - dall'immodesto nome di Ueshiba Morihei Dojo.

I miei contatti iniziarono con la richiesta di preparare un volantino di propaganda appunto per la palestra.

Dovetti innanzitutto farmi spiegare cos'era l'aikido, e venni lì per lì sottoposto ad una robusta dimostrazione a base di nikyo: era infatti quello l'approccio che si usava a quei tempi per rispondere ai malcapitati che avessero chiesto informazioni: «Prendimi il polso», e giù un gran bel (si fa per dire, erano tempi pionieristici oltre che eroici...) nikyo.


Con le idee ancora più confuse di prima, armatomi di rapidograph, inchiostro di china ed altri attrezzi del mestiere, mi diedi da fare sul tema.

Tirai fuori dopo un poco l'aborto che potete vedere illustrato a fianco, che strano a dirsi incontrò il favore di molti.

Mi venne però riferito che il maestro Tada vedendolo si era messo a ridere di cuore...

 

 

 

Chiariamo il mistero: la figura era tratta da una enciclopedia che avevo affannosamente consultato, ed era ricavata a sua volta da una fotografia attribuibile al fotografo Felice Beato, attivo a Yokohama a fine 800, o al suo assistente Kusakabe Kimbei. Molti di questi ritratti di studio sono costruiti ad arte, assemblando in modo fantasioso materiale di varia provenienza indossato da modelli occasionali.

Questa foto non faceva eccezione: il personaggio raffigurato nel mio volantino indossava un improbabile assieme composto da elmo e corazza da guerra, guanti e cosciali da kendo, hakama; impugnava con la mano sinistra  un handachi portato però come un tachi. Nella foto vediamo invece che si trattava in realtà di un efu no tachi, il pettorale non corrisponde a quello fantasioso del disegno, e così via. Insomma, nell'enciclopedia avevo trovato un samurai visto attraverso le lenti deformanti di un occidentale: rappresentazione immaginifica ma fondamentalmente ridicola.

Ma all'epoca ci parve bello crederci.

Nemmeno la grafica di sfondo era farina del mio sacco, e chissà che qualcuno non indovini da dove viene.

Ebbi alla palestra Monopoli in Trastevere successivi incontri ravvicinati, ancora del secondo tipo. Infuriò anni fa il film Incontri ravvicinati del terzo tipo, dove si parlava dell'incontro fisico tra i terrestri e gli alieni, anzi Alien, l'alieno per eccellenza. Ebbene, all'epoca la cultura giapponese e i rappresentanti di quella cultura erano in Italia fondamentalmente degli alieni.

Non sapevo all'epoca che presso i locali dei Monopoli effettivamente si teneva il primo corso regolare di aikido in Italia. Il tutto grazie a Danilo Chierchini - insegnante di judo e futuro presidente dell' Aikikai d'Italia, di cui sarei divenuto negli anni successivi stretto collaboratore e amico.

Lì potei vedere degli scalmanati con strani vestiti che se le davano di santa ragione su una materassina rotonda, di quelle usate per la lotta libera.

Riporto integralmente anche il testo di uno dei volantini che erano stati preparati per pubblicizzare il Ueshiba Morihei Dojo, che potete vedere a destra.

E' interessante osservare come la percezione dell'arte si sia trasformata attraverso tutti questi anni.

AI - KI - DO

ARTE SUPERIORE DI AUTODIFESA

L'AI-KI-DO desunto dall'esperienza secolare dei laggendari Samurai dal grande Maestro UESHIBA MORIHEI fu in origine per la sua invincibile potenza riservato unicamente agli alti gradi degli ufficiali dell'esercito Giapponese.

Dopo l'ultima guerra, diffuso in tutto il mondo, fu apprezzato anche perché la sua tecnica elegante è il migliore esercizio per l'armonioso sviluppo fisico dei giovani.

Tratto dall'arte della spada (Kendò) è notevole in quanto permette di abbattere o immobilizzare, anziché uno, più avversari contemporaneamente, il chè energizza doti mentali di attenzione, rapidità di riflessi, e coordinazione psicomotoria.

l'AI-KI-DO viene insegnato ora in Italia dal Maestro HIROSHI TADA 7° Dan rappresentante ufficiale dell'AIKIKAI di TOKIO, Istruttore della polizia Italiana e Giapponese.

Presso la palestra « UESHIBA » potrete vedere voi stessi l'efficacia di un'arte considerata incomparabilmente superiore laddove l'agilità del Judò e la violenza del karaté avevano pur raggiunto interessanti risultati.

 

 

 

Non avevo ancora fatto conoscenza col maestro Tada, che mi immaginavo, da come mi veniva descritto, come un essere sovrannaturale: alto due o tre metri e capace di  uccidere con uno sguardo nonché dispostissimo a farlo senza troppe storie.

Qualche tempo dopo venni incaricato di badare per un giorno o due alla settimana al suddetto Ueshiba Morihei Dojo, e finalmente lo vidi!

Non posso dire di essere rimasto deluso: indubbiamente il maestro Tada aveva di che colpire la fantasia di chiunque, figuriamoci la mia che era già favorevolmente predisposta a lasciarsi colpire, però indubbiamente mi aspettavo un qualcosa di diverso, un qualcosa di più. Non so, che perlomeno andasse in giro vestito da samurai, con due spade alla cintura, alia continua ricerca di duelli.


Chi poi, sebbene minacciosamente promettente come aspetto fisico, mi deluse completamente, fu un giovanottone giapponese che trovammo un giorno seduto sul marciapiede fuori della palestra, in attesa dell'apertura.

Evidentemente qualcosa a che fare con il Dojo e col maestro Tada ce lo doveva avere, sebbene li per li non ce lo potesse spiegare non masticando neppure una parola di italiano.


Questo individuo mi parve di una bonomia irritante, sempre sorridente e disposto a cercare di scambiare una parola con qualcuno superando le barriere linguistiche e culturali, sempre curioso ed in cerca di avventure, ma avventurette terra terra che non mi sembravano abbinabili al destino di un samurai.

La volta seguente lo trovai, sempre seduto sul bordo del marciapiede, che aveva attaccato bottone con alcuni allievi che aspettando il mio arrivo per l' apertura del dojo ingannavano il tempo mangiando cartocci di lupini. Si era fatto spiegare come andavano mangiati quegli affari e si dava diligentemente da fare, seminando il marciapiede di bucce. «Che figura! -  pensavo io - questo non sarà mai un vero samurai!».

Chi era? uno dei più grandi maestri che abbia mai conosciuto in vita mia (e ne ho conosciuti tanti), e sicuramente tra quelli che avevano le conoscenze più vaste ed approfondite sull'immenso patrimonio della cultura samurai: Masatomi Ikeda sensei.

Sul maestro Tada sono girate tante di quelle storie, messe in giro anche da distinti omoni di una certa età e/o con barba e baffi; io a quei tempi ho creduto indistintamente a tutte, adesso però qualche dubbio in proposito lo coltivo...


Una volta il maestro spiegò che gli avrebbe fatto comodo avere dei  jo, descrivendo più o meno come dovevano essere fatti: in men che non si dica gli venne presentato come prototipo un qualcosa di simile alia clava di Ercole, che venne, al solito, accettato senza fare commenti, anzi con mille ringraziamenti. Dopo qualche prova, il maestro si avvicinò ad una delle colonne che troneggiavano minacciose in mezzo ai circa 20 metri quadri di tatami  e facendo leva sulla colonna, iniziò col bastone strane manovre, che a me sembravano avere lo scopo di raddrizzare l'infelice pezzo di legno, che in effetti molto dritto non era. Partì subito una delegazione di allievi, per chiedere rispettosamente al maestro cosa mai stesse facendo: dopo un po' il portavoce tornò indietro, riferendo con aria da cospiratore «Lo spinge contro la colonna per accorciarlo perché è troppo lungo.» Naturalmente il giorno dopo la storia aveva fatto tre volte il giro di Roma.

Altre storielle? La sera nelle riunioni organizzative qualcuno chiedeva sempre cosa avesse fatto il maestro Tada al Dojo. Aveva trovato un nuovo modo per allenarsi: lanciava dei fogli di carta per aria e li tagliava in due al volo con la spada: «Embe'? - si stupiva qualcuno - sarei capace pure io!». «Cretino! - lo si rimbeccava - in due nel senso dello spessore, in modo da fare due fogli A4 al posto di uno! Tu sei capace?...»


Un bel giorno, mentre pulivamo la palestra la domenica mattina, mi venne detto di indossare un keikogi qualsiasi e salire sul tatami (i keikogi erano depositati in palestra, alia giapponese). Mentre mi affrettavo, mi dissero di stare attento a non sbagliarmi: una volta un allievo si era messo per sbaglio il keikogi del maestro Tada, che stava fuori Roma.

A sentir loro, al ritorno il maestro si sarebbe immediatamente reso conto del misfatto. Non solo, ma sarebbe andato in giro per il dojo annusando come un cane da tartufi, finché rintracciato dall'odore il malcapitato allievo, gli avrebbe dato una risciacquata di primo ordine. Piccole leggende metropolitane...

Fu quella la prima e unica volta che salii sul tatami del Ueshiba Morihei Dojo: sarebbero passati altri 8 anni prima che mi decidessi ad iscrivermi ad un corso di aikido. Da allora non ho più interrotto.

Il dojo era abbastanza affollato; a rivedere le vecchie foto fanno tenerezza quelle pose marziali (si fa per dire), quegli atteggiamenti statuari mal conciliabili con gli angusti keikogi. Non so perché ma a quei tempi il keikogi andava di moda bello attillatino, che facesse una acconcia figura indosso ma pagando presumibilmente lo scotto di una certa difficoltà nella pratica. Non si usava molto lavarlo, con la scusa che i samurai non lo facevano: rimaneva perciò a lungo dello stesso colore giallastro che aveva appena acquistato e il caratteristico odore del dojo (come ho detto i keikogi rimanevano negli spogliatoi) iniziavo a percepirlo già quando con la mia vespa passavo gli archi di Porta San Giovanni, a distanza di un paio di km.

 

L'ex Ueshiba Morihei Dojo era divenuto negli anni 80, la prima stesura di questo articolo risale al 1985, una officina elettrauto.

Troneggiava ancora ovviamente, al centro del locale, la famosa colonna su cui secondo le saghe il maestro Tada accorciò un simil-jo da 150cm ai regolamentari 128cm.

Semplicemente spingendovelo contro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti gli allievi che sono passati per il Ueshiba Morihei Dojo sono prima o poi tornati all'ovile.

Tutti li ho incontrati qualche anno dopo al Dojo Centrale, tutti hanno chiesto del maestro Tada, e tutti hanno detto di voler ricominciare la pratica: qualcuno l'ha addirittura fatto! Chiuso nel nefasto 1994 anche il Dojo Centrale di via Eleniana, queste persone continuano ad affluire al Dojo Nozomi che ne aveva raccolto l'eredità, scoperto chissà come.

Sono passati molti anni, e oramai sono pochi quelli che rinnovano l'eterna promessa di ricominciare la pratica. Non pochi però portano i loro figli o nipoti, e questo è molto bello.

Negli anni 60 tutti i praticanti si dimostravano allievi ben volenterosi, e il maestro Tada era soddisfatto: usava a quei tempi praticamente il sistema giapponese: a un malcapitato venuto la prima volta in palestra venne sommariamente spiegato irimi tenkan suwariwaza; dopo di che il maestro seguitò a fare lezione, lasciando il tapino che piroettava volenterosamente: dopo un quarto d'ora il poveretto fece cenno al maestro se poteva smettere, ormai paonazzo: il maestro assunse un'aria quanto mai stupita, e gli fece cenno di seguitare; dopo un'altra mezz'ora il nostro eroe si diresse verso il maestro Tada, e in silenzio si tirò su i pantaloni mostrando le ginocchia ormai sanguinanti. Lo sguardo rivoltogli in cambio dal maestro aveva un inequivocabile significato: «E allora? E questo che c'entra?»

Non gli rimase che tornarsene mogio mogio ai suoi tenkan, fino alia fine dell'ora; ancora mentre mi raccontava l'episodio - ed erano passati oltre 20 anni - mentre parlava del maestro Tada gli brillavano gli occhi.

Anche il sistema dei gradi era alia giapponese: con nomine sul campo da parte del maestro, che era di manica abbastanza larga: in 5 o 6 mesi quasi tutti erano terzo kyu; le tecniche erano però rudimentali, più che altro per una certa faciloneria da parte degli allievi e per la loro desuetudine ai movimenti dell'aikido, perché le lezioni del maestro - cui assistevo bloccato purtroppo al tavolo della segreteria - erano rigorosissime. Mi affascinava particolarmente il modo in cui spiegava le cadute, facendole vedere praticamente al rallentatore: sembrava veramente che si fermasse a suo piacimento in aria.

Dopo poco più di un anno il mio gruppo sportivo si sciolse, e cosi finì la "prima palestra europea di aikido". Credevo che la storia fosse finita li, ma dopo qualche mese, nella primavera del '67, Stefano Serpieri che aveva continuato a seguire l'insegnamento del maestro fece sapere a me e ad alcuni altri amici che Tada sensei aveva trovato un nuovo Dojo in via Eleniana, non molto lontano da lì, e cercava qualcuno che gli desse una mano per metterlo a posto...

Cominciò da lì una nuova avventura, che è ancora lontana dal terminare.

 


PS: dal 1985, data della prima versione di questo articolo, per oltre 35 anni nessuno si è cimentato nella ricerca della fonte che ispirò quel remoto volantino del Ueshiba Morihei dojo. O perlomeno nessuno ha confessato di averci provato invano. In un insolito attacco di misericordia, voglio finalmente indicare la soluzione: qui.