Stevens J.: Aikido - The Way of Harmony (La via dell'armonia)
under the direction of Shirata Rinjiro
Shambala, 1984
Edizioni Mediterranee, 1992

 

John Stevens è noto a chiunque abbia deciso di approfondire sui libri la sua conoscenza dell'aikido per la sua vasta produzione, che varia dalla ricerca storica alla illustrazione dei principi filosofici ed etici su cui Ueshiba Morihei aveva deciso di fondare la sua arte. E' meno noto ai praticanti  più giovani il nome del maestro Shirata Rinjiro. Iniziò la pratica dell'aikido nel 1931, immediatamente dopo il suo trasferimento a Tokyo, all'età di 19 anni. Divenuto ben presto insegnante ed una delle figure portanti dell'Honbu Dojo di Tokyo, scomparve nel 1993.

 

 

 

Il testo recensito è l'edizione inglese, dal titolo di Aikido - The Way of Harmony, ma ricordiamo che è stato pubblicato anche in italiano dalle Edizioni Mediterranee, nel 1992, con il titolo La via dell'armonia. Inizia con una biografia del fondatore dell'aikido, Ueshiba Morihei, stilata sulla base di quella redatta dal figlio Kisshomaru e di un'altra ancora opera del maestro Sunadomari Kamamori. Vi affiora a tratti un po' del sensazionalismo che diverrà dominante in epoche più vicine a noi.

Stevens, che risiede in Giappone da molti anni ed ha una cattedra di studi buddisti presso l'Università Tohoku Fukushi in Sendai, ha avuto modo di attingere molte informazioni dai diretti testimoni, e ne ha reso partecipi i lettori in numerose opere storiche.

Sono più rare le opere in cui si occupa direttamente degli aspetti tecnici della pratica dell'aikido, ed è particolarmente preziosa questa che è stata pubblicata sotto la direzione di un personaggio di grande levatura quale Shirata sensei.

 

 

 

E' difficile immaginarlo dal gracile aspetto fisico che mostra nei rari filmati reperibili in rete, risalenti a quando aveva intorno ai 70 anni o più, ma da giovane Shirata sensei era un temibile combattente.

Molto più alto della media, praticante di kendo e capitano della squadra di judo alle medie superiori, si dice che alzasse facilmente con una sola mano dei sacchi di riso pesanti circa 60 kg.

Lo vediamo nella immagine a destra, risalente al 1932. E' in piedi al centro della seconda fila, ed è evidente la sua complessione fisica.

Esiste una biografia in inglese, pubblicata da Aikido Journal, del maestro. Originariamente pubblicata in Aikido Tankyu, bollettino periodico dell'Hombu Dojo di Tokyo, è opera di Kozo Kaku. Riporta che il soprannome giovanile di Shirata sensei era il prodigio del Kobukan (nome originario dell'Hombu Dojo, mantenuto durante tutto il periodo anteguerra).

Anche in tarda età rimane evidente dai filmati, come questo sempre pubblicato da Aikido Journal, la predilezione di Shirata sensei per le tecniche di spada e per quelle improntate all'efficacia.

Ma è ora di tornare al nostro libro.

Nato come abbiamo detto nel 1912, ricorrono quindi 100 anni dalla sua nascita nel periodo in cui scriviamo queste note, Rinjiro Shirata all'età di 19 anni venne inviato dal padre a Tokyo per chiedere l'ammissione al dojo Kobukan, appena nato ma di cui già si parlava molto. Come costume dell'epoca recava con se la lettera di presentazione di due garanti di chiara fama, ma dovette in più superare una prova di ammissione consistente nel suo caso nel confronto con gli allievi che si trovavano in quel momento sul tatami del dojo. E il caso volle che fossero delle ragazze più o meno della sua età, che vennero considerate come avversari non particolarmente temibili data la superiore stazza fisica di Rinjiro e le sue conoscenze di kendo e judo (era nidan all'epoca).

Venne invece facilmente sconfitto, e ricordava perfettamente con quale tecnica: shihonage. Ancora stupito tornò a chiedere l'ammissione al Kobukan e l'ottenne. Sempre secondo i costumi di quei tempi austeri non venne però invitato a praticare ma solamente, per diversi mesi, a svolgere differenti umili mansioni all'interno del dojo e ad assistere ad alcune lezioni. Solo dopo diversi mesi gli veniva concesso di salire sul tatami, ma sempre e soltanto per fungere da uke agli allievi più avanzati, senza poter provare di persona alcuna tecnica. Il resto è noto, o perlomeno immaginabile. Rinjiro Shirata divenne in breve tempo una figura cardine del Kobukan prima e dell'Hombu Dojo poi. Il libro venne scritto quando Shirata sensei, trasferitosi nel nord del Giappone, era ancora un vigoroso settantenne che sottolineava di avere finalmente cominciato a padroneggiare lo shihonage, la tecnica che gli aveva dato il benvenuto nel mondo dell'aikido oltre 50 anni prima.

Shirata sensei previene di non avere completamente compreso i fondamenti filosofici alla base dell'aikido, di cui forse nemmeno il fondatore stesso aveva una visione chiara e completa, ma che il passare degli anni gli ha permesso di comprenderne per grandi linee il senso.

L'unione armonica delle energie - sia positive che negative - si concretizza nel concetto di ai-ki che siamo usi rendere con armonia dello spirito. Queste antiche dottrine vennero elaborate dal fondatore dell'aikido teorizzando che dessero vita ad una nuova forza vitale, il takemusu, il cui significato deriva dall'unione di take (spirito marziale, pronunciato anche bu come in budo) e musu (ossia musubi), potere creativo che nasce dall'unione o nodo di diversi elementi. Scaturisce da qui quello che definì il takemusu aiki.

Terminata la parte introduttiva inizia quella dedicata alla descrizione del metodo di pratica ed alle tecniche: troppo spesso la sola che viene consultata da chi cerca "un libro di aikido". Speriamo di avere spinto perlomeno qualcuno ad esplorare anche il resto.

Uno spazio insolitamente abbondante è dedicato alle tecniche di respirazione che precedono i momenti della pratica.

Non si può che essere d'accordo con questa impostazione, prevenendo comunque da troppo facili entusiasmi: le tecniche di respirazione non possono essere assimilate da un libro, ferma restando l'utilissima e a volte indispensabile funzione di memorandum e di linea guida che ha la pagina stampata.

 

 

Attento anche alle posizioni di base, alle posizioni di guardia, agli spostamenti, alla tempistica, e richiamando spesso i legami con il mondo della spada di ogni disciplina marziale giapponese, il testo tuttavia non ha nulla di artificioso.

Stevens ricorda l'idiosincrasia del maestro per ogni forma di rigida programmazione ed il suo rifiuto di "mettersi in posa".

Quella cui assistiamo in queste pagine, che raccomandiamo senza riserve se non quella di accostarvisi col dovuto rispetto, è una grande lezione di Shirata sensei.