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Ichiro ormai è ridotto a travestirsi per poter girare tranquillamente per strada, si cela sotto un cappello a larghe tese e un paio di occhiali finti.

Miiyako dal canto suo porta sempre una mascherina di protezione sul viso, in Giappone sono molti a portarla per evitare l'inquinamento urbano o i contagi dalle malattie più comuni.

Ancora una volta un cartellone pubblicitario semovente lo ferma per proporgli qualcosa.

Nonostante i suoi timori non si tratta di un'ennesima puntata del "suo" scandalo.

E' semplicemente arrivato il Natale, e l'uomo sta probabilmente reclamizzando qualche miracolosa vendita natalizia.

 

 

 

 

 

Già... è Natale! Il Natale dell' anno 1950.

Ichiro l' aveva forse dimenticato, preso come era dai suoi problemi, ma adesso corre lestamente ai ripari.

I bambini della bidonville rimangono a bocca aperta: cosa sta arrivando mai?

Ha l'aria di essere qualcosa di fantastico ed irripetibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' Ichiro, a cavallo della sua inseparabile motocicletta dove ha issato in periglioso equilibrio un gigantesco albero di Natale, addobbato nel migliore dei modi.

L'abilità, ma anche la malizia, di Kurosawa non cessa mai di destare ammirato stupore.

Quando la tensione diventa eccessiva ed eccessivamente negativa, quando il degrado morale delle situazioni descritte rischia di angosciare lo spettatore, spesso un capovolgimento degli eventi verso qualcosa di bello e positivo dà la forza di continuare a seguire la vicenda.

 

 

 

 

 

 

Miyako ed ishiro hanno organizzato una indimenticabile festa di Natale per Masako.

Gli addobbi riescono a rendere bella perfino la misera capanna.

Ichiro suona al pianoforte; chissà quanti problemi organizzativi avrà superato o travolto con il suo positivo interventismo, chissà dove avrà trovato quel pianoforte.

Lo suona con grande disinvoltura, accompagnando Miyako che canta le tradizionali melodie di fine anno e anche le più diffuse canzoni natalizie occidentali.

Il rapporto tra i due supposti amanti continua ad essere limpido, trasparente, disinteressato, puro.

 

 

 

 

 

Masako è fuori di se dalla gioia.

Sta probabilmente pensando che solo una cosa manca alla sua felicità, ma non può tardare molto.

Quando Otokichi ritornerà a casa e si riunirà a loro la festa potrà dirsi completa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Otokichi in realtà è già rincasato.

Ma si è fermato, vergognoso, sulla porta di casa.

Sente crescere dentro di se l'onta per avere tradito per del miserabile denaro non solo la fiducia dell'unico uomo che gli abbia dato credito nonostante ogni apparenza contraria, ma anche quelle dell' unico raggio di luce della sua vita, Masako.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non riesce a reggere il peso della sua colpa, decide di andare via.

Si è tradito però facendo rumore, assieme ad Ichiro lo rincorre e lo trattiene anche la moglie ((Tanie Kitabayashi che tritroveremo alcuni anni dopo in L'arpa birmana di Kon Ichikawa).

Non potranno nulla di fronte alla sua irriversibile crisi: Otokichi Hiruta si divincola e fugge nella notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ichiro lo ha seguito.

Il poveruomo si è rifugiato in un locale di terzo ordine, dove si sta deliberatamente ubriacando per dimenticare i suoi rimorsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è il solo ad avere fatto quella scelta, nella fredda notte di Natale del 1950.

Assieme a lui un inveterato ubriacone è salito sul palco dove si alternano improvvisati cantanti.

L'attore è Bokuzen Hidari, che il pubblico occidentale ricorda soprattutto nei panni del pavido contadino Joei (I sette samurai), ruolo che interpretò pochi anni dopo.

Otokichi Hiruta ha una richiesta da fare.

Perchè l'orchestrina del locale non può, per una volta, suonare per lui? Dedicargli, donargli, qualcosa?

 

 

 

 

 

 

Il desiderio di Hiruta ha qualcosa di magico.

E magicamente, si avvera. Non solo perché gli orchestrali decidono di farlo contento, ma soprattutto perché tutti i presenti sentono in qualche modo di essere partecipi di quel dono.

Nessuno riesce ad esimersi dal cantare assieme ai due infelici, e Hiruta si stringe - con affetto? - al braccio di Ichiro, che canta assieme a lui ed al coro dei derelitti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mano di Kurosawa è particolarmente felice nella scelta dei comprimari chiamati a prestare i loro volti .

Debbono esprimere la speranza di un mondo migliore da parte di chi la speranza credeva oramai di averla perduta per sempre.

Allo spettatore il giudizio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La magica notte non è finita.

Al di fuori splendono magnifiche le costellazioni.

Il cielo è di una limpidezza assoluta, senza l'ombra di una nuvola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ichiro ed Otokichi sono usciti tenendosi ancora sottobraccio, del resto hanno tutti e due bevuto più che abbondantemente ed è meglio sorreggersi a a vicenda, appoggiarsi l'uno all'altro.

Grande è la loro sorpresa nel vedere, nel solito lurido acquitrinio che Kurosawa non manca mai di mettere nell'ambientazione dei suoi film gendai, l'intero firmamento.

Ichiro osserva, con la saggezza e la capacità di vedere oltre le paarenze che hanno talvolta gli ubriachi, che non sono semplicemente un riflesso.

In quella notte delle autentiche stelle sono nate dal fango.