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Ken Domon (1909-1990), che qui vediamo in un autoritratto del 1958, viene considerato il maggiore artista fotografico giapponese del XX secolo, e un maestro del realismo. Non ci dichiariamo completamente d'accordo con questa definizione, ma per giudicare di persona, dopo avere da questo articolo avuto una idea delle sue immagini, dovrete fare il possibile per visitare la magnifica mostra che espone le sue opere. Presso l'Ara Pacis di Roma, dal 27 maggio al 18 settembre 2016.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come detto la mostra presenta Domon come il Maestro del realismo giapponese: chiariamo le ragioni del nostro moderato dissenso a questa catalogazione. Nella mostra si rende conto di diversi percorsi, e diverse fasi storiche, nelle testimonianze fotografiche di Domon.

La sua prima produzione parte dal 1933 e dopo un periodo di apprendistato presso uno studio fotografico ottiene la sua prima pubblicazione su Asahi Camera nel 1935.

Viene poi assunto dalla agenzia Nippon Kôbô dove lavora in stretta collaborazione con la direzione, seguendo le direttive di un graphic designer e di un art director per la produzione di documentari fotografici destinati a essere diffusi all'estero con scopi di informazione e propaganda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se l'effetto che le foto di Nomon raggiungono è di dare una impressione di realismo, sembra comunque trattarsi di un realismo accuratamente programmato a tavolino.

Non che questo rappresenti una critica al gruppo di lavoro di cui Ken Domon costituiva in un certo senso la punta di lancia ed  è aderente all'idea del realismo: rappresentazione artistica che richiama alla realtà ma è sostanzialmente artificiosa.

Come nei capolavori del realista Vittorio De Sica, che danno solo l'impressione di essere mera cronaca quotidiana ma sono in realtà parto della sua fantasia artistica.

 

 

 

 

 

 

Al termine del conflitto Domon diventa un operatore indipendente, e dichiara che si dedicherà alla  "istantanea assoluta che è assolutamente non drammatica".

Una istantanea è sempre reale, non realistica, in quanto rappresenta fedelmente un momento della realtà, che non tollera drammatizzazione. Quel momento viene scelto dall'artista, e rappresentato seguendo le sue scelte tecniche e le sue ispirazioni del momento.

Le scelte tecniche di Domon, per quanto è possibile dedurre dalle sole immagini senza disporre dei dati di ripresa, influenzano la resa della realtà, come d'altra parte inevitabile nella fotografia: è lui che sceglie il formato (35mm, più agile, in luogo delle camere di medio formato che all'epoca godevano di maggiori favori), la pellicola, il supporto, lui che opera determinate scelte in fase di stampa, è lui insomma a determinare la resa finale dell'immagine. Che rappresenta la realtà vista dagli occhi di Domon, non quella "realistica":

Infatti "Ci sono istanti sconvolgenti in cui ti sembra che con uno sguardo riesci a capire il senso di tutto". La foto di Domon è reale. Non realistica. Solo la sua sensibilità, la sua prontezza e la sua padronanza del mezzo tecnico rendono possibile catturare momenti irripetibili della realtà.

Prima di andare avanti a prendere visione di alcuni esempi dell'opera di Ken Domon vogliamo accennare a una singolare coincidenza. Sempre a Roma, si è conclusa quasi in concomitanza con l'apertura della mostra di Domon (è stata infatti prolungata fino a maggio), un'altra mostra fotografica.

Erano esposte al Museo di Arti e Tradizioni Popolari in  Roma 178 fotografie di Arturo Zavattini (figlio del regista Cesare) scattate in Italia e nel mondo dal 1950 al 1960. Ebbene, troviamo nella realtà di Zavattini molta della realtà di Domon. E viceversa.

Nonostante ogni distanza culturale e geografica i due artisti hanno saputo rappresentare magnificamente i drammi, le tragedie e il vivere quotidiano - la realtà - di alcune generazioni che pur avendo avuto una vita non facile, pur non avendo avuto i nostri mezzi, ci hanno dato lezioni di dignità non dimenticabili.

E che saranno trasmesse nel tempo attraverso l'opera di maestri come Zavattini e Domon. Esiste della prima mostra un bel catalogo:

AZ - Arturo Zavattini fotografo
Viaggi e cinema 1950-1960,
Contrasto, 2015.

 


La mostra delle opere fotografiche di Ken Domon è allestita nelle sale inferiori del complesso dell'Ara Pacis, costruito agli inizi del secolo su progetto dell'architetto americano Richard Meier, demolendo in un susseguirsi di polemiche la precedente "teca" ove era custodito il simbolo più alto della millenaria civiltà romana, l'Altare della Pace appunto, voluto dall'imperatore Augusto.

Del nuovo complesso è stato detto tutto il male possibile e forse non è ancora abbastanza. Il progettista si è "difeso" dichiarandosi all'oscuro del contesto con cui avrebbe dovuto armonizzarsi il nuovo edificio, ma come tentativo di difesa, da parte di un architetto di fama mondiale, non sembra il massimo.

Va riconosciuto che è una struttura molto più flessibile e più adatta a ospitare eventi culturali di spessore. Rimane un elemento architettonico del tutto estraneo alla città di Roma.

 

Avendo già accennato alla prima fase della produzione di Domon, procederemo a una "trasvolata" a volo d'uccello sulle fasi successive.

Sono state infatti numerose e hanno dato vita a una mole imponente di pubblicazioni, che hanno spesso costituito un punto di riferimento sia per gli studiosi che per chiunque volesse conoscere il patrimonio sociale, culturale e artistico del Giappone contemporaneo.

Era allestito in una piccola sala un campionario delle pubblicazioni di Ken Domon.

Campeggia alla parete un suo autoritratto. Reale, certamente.

Non ci azzarderemmo a definirlo realistico (perdonate l'insistenza).

Purtroppo nel 1959 e nel 1968 Domon soffrì di due differenti episodi di ictus, che lo resero inabile. Un terzo episodio nel 1976 ebbe effetti devastanti che gli impedirono di produrre altri capolavori; la morte sopraggiunse nel 1990.

Memorabile la sua documentazione dei tragici e disumani effetti del bombardamento atomico su Hiroshima (agosto 1945).

Vediamo qui la raffigurazione di una "fortunata" famiglia scampata al disastro, che ha lasciato tracce devastanti solamente sul capofamiglia. Ma la vita, e la speranza, continuano nonostante tutto.

Domon disse: "Quando cominciai a scattare le fotografie, le vittime si mettevano volontariamente davanti alla mia macchina fotografica, con il sincero desiderio che le mie immagini aiutassero ad evitare che altri giapponesi cadessero vittime di bombe atomiche come loro. Quante volte scattai con le lagrime che mi riempivano gli occhi!".

 

 

 

Appartiene alla serie Hiroshima anche una delle foto più emblematiche nella storia della fotografia: l'immagine dell'orologio che si è arrestato per sempre al momento dell'esplosione, come si è arrestata la vita del suo sfortunato proprietario. E' anche l'immagine di copertina del libro Diario di Hiroshima che abbiamo qui recensito.

Ma vogliamo mostrare al lettore un'altra immagine di Hiroshima scattata da Domon, certamente reale per quanto appaia surreale, portatrice di un altro dei suoi messaggi di speranza.

 

 

 

 

 

 

L'occhio solo apparentemente asettico della fotocamera di Domon è particolarmente attento a quanto succede nel dopoguerra. Le immagini di bambini che frugano tra i rifiuti, di orfani, di lustrascarpe al seguito delle truppe di occupazione, di "segnorine" che le ricevono in improponibili alcove, ricordano da vicino le immagini del nostro dopoguerra.

Sembrano anzi a tratti essere assolutamente le stesse, e questo colpisce particolarmente sapendo che Domon fotografa quanto vede, senza sovrapporvi altre letture pur mantenendo una sua inconfondile impronta d'autore.

 

 

 

 

 

Non sono poche le serie - o le immagini isolate - di Domon dedicate ai bambini.

A volte struggenti, per le misere condizioni cui li riduce la follia degli adulti, a volte luminose e portatrici di messaggi di speranza.

Abbiamo qui accostato una immagine di Domon della serie Kodomotachi (Bambini) intitolata Pioggerella e risalente al 1952 circa, con una immagine coeva di Zavattini scattata a Pico, in provincia di Frosinone.

 

 

 


Fin dal 1939 Domon aveva iniziato a scattare immagini di antichi templi giapponesi, e continuò per tutta la sua vita artistica pubblicando via via una vera e propria enciclopedia fotografica, il Kojujinrei (Pellegrinaggi ai templi antichi)  di cui uscirono cinque volumi tra il 1963 e il 1975.

Oltre alla tecnica anche il suo approccio era peculiare: si trasferiva nel tempio di cui desiderava raccogliere immagini e vi si immergeva totalmente per diverse settimane, tentando di assorbirne l'atmosfera, lo spirito, ma senza scattare alcuna foto.

Solamente quando comprendeva di essere pronto iniziava a riprendere immagini.

 

 

 

 

 

 

Dopo il primo ictus del 1959 Domon aveva perso l'uso della mano destra. Le istantanee gli erano ormai precluse

Continuò nel suo pellegrinaggio, prendendo l'abitudine di scattare facendo uso di un cavalletto e di un cavo flessibile manovrato con la sinistra o dell'autoscatto.

Il secondo ictus del 1968 lo costrinse sulla sedia a rotelle ma non si arrese e non interruppe i suoi pellegrinaggi, mentre le foto venivano realizzate materialmente con l'ausilio dei suoi assistenti che ne seguivano scrupolosamente le indicazioni.

Nel 1976 il terzo ictus lo costrinse all'inattività.

 

 

 

 

 

 

Nel genere ritrattistico (Fudo) Domon utilizza differenti chiavi di lettura.

A volte isola il volto, l'espressione della persona raffigurata da ogni elemento esterno.

Coglie l'essenza della personalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altrove indaga nei rapporti tra le persone.

O forse semplicemente li rappresenta, così come li ha visti nella realtà, in un atteggiamento spontaneo.

Visione oltre le righe preclusa ad altri, che solo la sua maestria ci ha potuto rivelare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Può accadere nei ritratti che Ken Domon scelga una ambientazione d'effetto, che lasci interdetto lo spettatore e gli renda allo stesso tempo manifesta la complessa personalità della persona raffigurata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma è anche possibile che scelga "semplicemente" di rappresentare un artista intento al suo lavoro, nel suo ambiente.

Trasfigurato e indifferente a quanto gli possa accadere intorno, rapito dalla musa dell'arte.

Potremmo continuare a lungo nella ricerca di altre significative immagini di Ken Domon.

Rischieremmo però che la ricerca divenisse interminabile, e toglieremmo qualcosa del necessario stimolo che deve spingere ogni persona sensibile a prendere visione di persona delle opere di Domon.

Maestro della memoria. Maestro del reale.