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La mostra delle opere fotografiche di Ken Domon è allestita nelle sale inferiori del complesso dell'Ara Pacis, costruito agli inizi del secolo su progetto dell'architetto americano Richard Meier, demolendo in un susseguirsi di polemiche la precedente "teca" ove era custodito il simbolo più alto della millenaria civiltà romana, l'Altare della Pace appunto, voluto dall'imperatore Augusto.

Del nuovo complesso è stato detto tutto il male possibile e forse non è ancora abbastanza. Il progettista si è "difeso" dichiarandosi all'oscuro del contesto con cui avrebbe dovuto armonizzarsi il nuovo edificio, ma come tentativo di difesa, da parte di un architetto di fama mondiale, non sembra il massimo.

Va riconosciuto che è una struttura molto più flessibile e più adatta a ospitare eventi culturali di spessore. Rimane un elemento architettonico del tutto estraneo alla città di Roma.

 

Avendo già accennato alla prima fase della produzione di Domon, procederemo a una "trasvolata" a volo d'uccello sulle fasi successive.

Sono state infatti numerose e hanno dato vita a una mole imponente di pubblicazioni, che hanno spesso costituito un punto di riferimento sia per gli studiosi che per chiunque volesse conoscere il patrimonio sociale, culturale e artistico del Giappone contemporaneo.

Era allestito in una piccola sala un campionario delle pubblicazioni di Ken Domon.

Campeggia alla parete un suo autoritratto. Reale, certamente.

Non ci azzarderemmo a definirlo realistico (perdonate l'insistenza).

Purtroppo nel 1959 e nel 1968 Domon soffrì di due differenti episodi di ictus, che lo resero inabile. Un terzo episodio nel 1976 ebbe effetti devastanti che gli impedirono di produrre altri capolavori; la morte sopraggiunse nel 1990.

Memorabile la sua documentazione dei tragici e disumani effetti del bombardamento atomico su Hiroshima (agosto 1945).

Vediamo qui la raffigurazione di una "fortunata" famiglia scampata al disastro, che ha lasciato tracce devastanti solamente sul capofamiglia. Ma la vita, e la speranza, continuano nonostante tutto.

Domon disse: "Quando cominciai a scattare le fotografie, le vittime si mettevano volontariamente davanti alla mia macchina fotografica, con il sincero desiderio che le mie immagini aiutassero ad evitare che altri giapponesi cadessero vittime di bombe atomiche come loro. Quante volte scattai con le lagrime che mi riempivano gli occhi!".

 

 

 

Appartiene alla serie Hiroshima anche una delle foto più emblematiche nella storia della fotografia: l'immagine dell'orologio che si è arrestato per sempre al momento dell'esplosione, come si è arrestata la vita del suo sfortunato proprietario. E' anche l'immagine di copertina del libro Diario di Hiroshima che abbiamo qui recensito.

Ma vogliamo mostrare al lettore un'altra immagine di Hiroshima scattata da Domon, certamente reale per quanto appaia surreale, portatrice di un altro dei suoi messaggi di speranza.

 

 

 

 

 

 

L'occhio solo apparentemente asettico della fotocamera di Domon è particolarmente attento a quanto succede nel dopoguerra. Le immagini di bambini che frugano tra i rifiuti, di orfani, di lustrascarpe al seguito delle truppe di occupazione, di "segnorine" che le ricevono in improponibili alcove, ricordano da vicino le immagini del nostro dopoguerra.

Sembrano anzi a tratti essere assolutamente le stesse, e questo colpisce particolarmente sapendo che Domon fotografa quanto vede, senza sovrapporvi altre letture pur mantenendo una sua inconfondile impronta d'autore.

 

 

 

 

 

Non sono poche le serie - o le immagini isolate - di Domon dedicate ai bambini.

A volte struggenti, per le misere condizioni cui li riduce la follia degli adulti, a volte luminose e portatrici di messaggi di speranza.

Abbiamo qui accostato una immagine di Domon della serie Kodomotachi (Bambini) intitolata Pioggerella e risalente al 1952 circa, con una immagine coeva di Zavattini scattata a Pico, in provincia di Frosinone.