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Fujimoto sensei non manca di richiamare l'attenzione dei praticanti sullo stretto legame che corre tra le tecniche di aikido e le antiche tecniche di maneggio della spada, retaggio della classe samurai.

La stessa distinzione tra lato tagliente - ha - e dorso della lama - mune - trova applicazione nelle tecniche a mano nuda, ove sono frequentissime le operazioni di "taglio" e altrettanto frequenti le necessità di sottrarsi al taglio dell'avversario o fermarlo.

Notoriamente non esistono avversari nell'aikido, si lavora assieme per contribuire ad un obiettivo comune, ma ciò non toglie che le tecniche vadano eseguite con rigore e rispettandone i principi di base.

 

Queste escursioni nel millenario passato del Giappone sono spesso occasione anche di digressioni del maestro su vari temi correlati.

Tali informazionii, oltre a integrare la didattica fino a divenirne talvolta elemento essenziale, sono altrettanto interessanti che le spiegazioni tecniche.

Queste lezioni sono pervase dal sottile fascino del sapere tramandato da tempi lontani, attraverso la trasmissione diretta da maestro a discepolo.

 

 

 

 

 

Fujimoto insiste ugualmente sulla necessità di avere ben chiare, scolpite nella mente e nel corpo, le linee direttive lungo le quali eseguire le tecniche.

Questo concetto tornerà poi nella illustrazione dei movimenti di base derivati dalla spada: kokyu tenkan, prima nelle due direzioni, poi nella forma shihogiri (quattro direzioni), infine in quella happogiri (otto direzioni).

 

 

 

 

 

 

 

 

Il corretto movimento del proprio corpo, l'adeguamento alle linee guida, permette di rimanere costantemente focalizzati sul proprio uke.

Questi viene al contrario guidato lungo direttrici ove la sua forza - le sue intenzioni offensive al limite - non siano utilizzabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora di più, devono essere condotte su posizioni ove siano funzionali e non antagonistiche al movimento ed alle intenzioni di tori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lavoro che il maestro richiede ai praticanti è indubbiamente affascinante, ma tutto si può dire tranne che sia semplice.

Eppure può essere alla portata di tutti: ci si può arrivare, e ci si arriverà prima con un impegno comune.

Tori ed uke - l'avevamo sentito molte volte ma qui Fujimoto chiede di metterlo in pratica, ora e subito - devono diventare le due facce di una stessa medaglia.

Ancora più innanzi nella ricerca: gli uke, lo ripeterà spesso ai volontari chiamati a colalborare alle sessioni di esami, devono porsi l'obiettivo di donare la loro energia alla persona con cui stanno lavorando.

 

 

Questa energia, questo dinamismo, verrranno poi restituiti ad uke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scopo può essere quello di una proiezione.

Le proiezioni dell'aikido sono apparentemente drammatiche, ma ogni praticante sa quanto possa essere in realtà piacevole ed appagante la sensazione di essere proiettati, sottratti ai vincoli della forza di gravità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più spesso l'energia del sistema tori-uke viene incanalata per indirizzare l'uke al suolo, in una posizione in cui cessi di essere un pericolo e venga agevolmente controllato.

Il maestro raccomanda di curare in modo scrupoloso la chiusura di ogni tecnica.

E' il momento forse più importante, sicuramente è quello che può invalidare anche quanto di buono fatto in precedenza.

 

 

 

 

 

 

 

Possono terminare con un kime (controllo) a terra anche le tecniche di proiezione.

Nella immagine precedente abbiamo infatti visto la fase finale di un kotegaeshi.

Vi terminano sempre le tecniche che costituiscono il kihon (la base, il nocciolo duro, dell'aikido).

Vengono anche definite come il gokyo (le 5 tecniche) e di conseguenza numerate in giapponese: ikkyo, nikyo, sankyo, yonkyo (nella foto) e gokyo.

 

 

 

 

 

 

Nella didattica dello ushirowaza (tecniche su attacco da dietro) nella presa ai polsi il maestro mostra - ed ovviamente richiede - entrambe le manovre canoniche.

Dapprima quella in cui le braccia di tori si estendono verso l'alto, "richiamando" uke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La seconda in cui un effetto diverso - ma analogo nel richiamare ed attirare uke - si ottiene portando le braccia verso il basso, ruotandole contemporaneamente verso l'interno fino ad avere i palmi in posizione esterna, rivolti verso il basso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta fatto questo, il modo con cui si sceglierà di concludere la tecnica ha minore importanza.

Verrà il più delle volte da solo, come logica conseguenza, va comunque eseguito rigorosamente.

Per tutta la durata del raduno verrà in ogni caso richiesto sempre un lavoro costante e concentrato sulla base.

Soprattutto ikkyo (foto), nikyo, sankyo, yonkyo e gokyo per il kimewaza, poi kotegaeshi, shihonage e kaitennage per il nagewaza.

 

 

 

 

 

Lo studio degli attacchi con arma - qui viene utilizzato il tanto che replica il pugnale giapponese con lama ad un solo filo e punta acuminata - aiuta ad indentificare le linee dell'attacco ed obbliga a rendere più coerenti quelle di difesa.

Questo sia che si intenda accompagnare l'energia di uke, unendovi la propria, mentre il corpo esegue opportune manovre di evasione.

 

 

 

 

 

 

 

Sia che si preferisca, per ulteriore precauzione, bloccare decisamente l'azione di uke senza tuttavia rinunciare affatto al movimento di evasione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'utilizzo dell'arma evidenzia anche le direttrici energetiche delle successive tecniche che porteranno alla immobilizzazione, od in alternativa alla proiezione, nonché all'indispensabile disarmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludiamo queste parte della cronaca, lunga ma inadeguata a rendere conto pienamente di tutto l'insegnamento ricevuto, con la stessa tecnica che conclude tradizionalmente le lezioni di aikido: ryotetori kokyuho suwariwaza.

Anche in questo caso, ma ovviamente con le relative differenze e gli opportuni adattamenti, il maestro dimostra e dettaglia come ci siano due metodi basici di esecuzione della tecnica.

Uno che porta le braccia verso il basso, con un movimento di rotazione in senso opposto a quello eseguito su ushirowaza.

 

 

 

 

L'altro con il classico movimento delle braccia verso l'alto.