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Il maestro Yoji Fujimoto, 7. dan, Hombu Dojo shihan, Vice Direttore Didattico dell'Aikikai d'Italia, tiene da molti anni nella prima settimana di luglio a Laces (nel Trentino Alto Adige), il suo raduno estivo, che attira centinaia di praticanti.

 

 

 

 

 

La Val Venosta è un piacevole angolo dell'Alto Adige, racchiuso tra due catene di monti che la proteggono dalle variazioni atmosferiche che investono spesso altre località di montagna.

Latsch (Laces), nel cuore della Val Venosta, collocato al centro di sterminate piantagioni di mele, è un simpatico paesino di poche migliaia di abitanti.

E' dotato tuttavia di attrezzature sportive e ricettive non facili da trovare, nemmeno in località più grandi e rinomate.

 

 

 

 

 

Gli allenamenti, secondo il programma stabilito dal maestro Fujimoto, hanno un ritmo inconsueto, perlomeno per i giorni nostri.

Richiamano piuttosto i leggendari raduni tenuti dal maestro Hiroshi Tada negli anni 70 ed 80, proverbiali per l'impegno richiesto ad ognuno.

Il raduno inizia il pomeriggio del sabato, e si articola nei giorni seguenti con lezioni dalle 9 alle 12 la mattina e dalle 16 alle 18 il pomeriggio, per terminare il sabato successivo.

 

 

 

 

Ogni giorno quindi - per 8 giorni - 5 ore di allenamento intenso; fanno eccezione il mattino del primo giorno e il pomeriggio del mercoledì, che viene lasciato a disposizione.

Le sessioni di esame non sono separate come di norma dal raduno stesso, ne formano anzi parte integrante.

Ogni esaminando viene quindi sottoposto al giudizio del maestro non per alcune ore bensì per diversi giorni.

Qualcuno potrebbe pensare che la cosa sia preoccupante oppure addirittura scoraggiante.

 

 

 

Invece sono ogni anno sempre più numerosi i praticanti che scelgono di venire a sottoporsi al giudizio di Fujimoto sensei: a volte ritenuto severo, sempre comunque ambito, prestigioso, qualificante.

I candidati erano ben 37 questanno, suddivisi nei vari gradi. Tutti hanno visti i loro sforzi coronati dal successo, e questa notizia suonerà a molti come un'altra sorpresa: non lo è.

E' il frutto del lavoro incessante di Fujimoto sensei, che raccoglie i suoi frutti.

La percentuale di praticanti che raccogliendo il suo messaggio e accettando l'impegno di studiare e comprendere la sua linea didattica sono riusciti a presentarsi puntuali all'appuntamento, è stata plebiscitaria.

Non era facile. Durante la tradizionale festa conclusiva, che ha alternato momenti di spensieratezza assoluta ad altri di riflessioni profonde, c'è stato anche chi, chiamato dal maestro a condividere con tutti le sue sensazioni e le sue riflessioni, ha serenamente confessato di avere avuto non poche difficoltà ad accettare prima, a comprendere poi, ad assorbire infine il messaggio di Fujimoto.

Ma i fallimenti precedenti erano la condizione necessaria per poter proseguire nel cammino, dopo avere ricalibrato il proprio "equipaggiamento", avere ritrovato le motivazioni e avere focalizzato finalmente il proprio obiettivo.

Questa apparente contraddizione, la maggiore severità del maestro che ha chiesto ai candidati un lavoro ancora più intenso di quello previsto in passato, contrapposta ad una percentuale di successo non solo superiore al previsto ma addirittura completa, farà riflettere.

Come insegnatoci già da molti anni da un maestro appartenente alla nostra cultura, se a volte gli esami sembrano veramente interminabili, è giusto che sia così: "Gli esami non finiscono mai" *.

 


Nella foto di gruppo appaiono anche il sindaco e gli altri rappresentanti del comune di Laces, che non mancano ogni anno di intervenire al raduno, portando anche un graditissimo dono.

Alcune casse delle rinomate mele della Val Venosta: quello che ci vuole per chi scende dal tatami dopo una giornata di lavoro simpaticamente intenso.

Questa foto è di dimensioni maggiori di come appare a schermo. Potete scaricarla e stamparla fino alle dimensioni 20x30, senza particolare degrado della qualità

 


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Gli esami non finiscono mai, un modo di dire divenuto ormai proverbiale, è il titolo della ultima commedia (1973) scritta, diretta ed interpretata dal grande Eduardo de Filippo, facente parte del ciclo della Cantata dei giorni dispari. Il protagonista, Guglielmo Speranza, trascorre la vita tentando inutilmente di sottrarsi ai continui esami che la vita stessa gli propone, e commentando rivolto al pubblico gli avvenimenti che si susseguono, che lo travolgono e lo condizionano suo malgrado. La sua morte sarà l'ennesimo di tanti esami falliti, perché vissuti come un peso e non come altrettante occasioni di confronto, di crescita, di gioia.


 

Il maestro Fujimoto il sabato pomeriggio accoglie i partecipanti ed espone loro le tematiche che affronterà nel corso della settimana.

Dichiara esplicitamente che richiederà loro un lavoro più intenso rispetto agli standard precedenti.

E' evidente, anche se non è possibile spiegare le ragioni di questa diffusa sensazione, che da parte di ognuno c'è piena consapevolezza delle sue richieste e desiderio di adeguarsi, di essere all'altezza.

 

 

 

 

 

I partecipanti sono già numerosi, per quanto il viaggio sia lungo per chi proviene dal centro e dal sud dell'Italia.

Alcuni saranno costretti ad arrivare nei giorni seguenti.

Il tatami si colmerà, ma rimarrà comunque spazio sufficiente - naturalmente utilizzando un minimo di buon senso - per praticare senza problemi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti sanno che le condizioni di salute del maestro destano seria preoccupazione. Egli non intende nascondere nulla, vive il suo momento particolare con grande serenità.

E' un momento difficile: ma la vicinanza di tanti allievi gli dà forza, gli dà energia.

Questo lo rende particolarmente sensibile alla necessità di collaborare attivamente con i propri compagni di allenamento.

Durante le lunghe sessioni di esame non si stancherà mai di ripetere ai volontari che si prestano come uke di donare la propria energia a chi sta affrontando quell'impegnativa prova.

 

 

Il lavoro tecnico inizia con katatetori aihanmi shihonage, con vari movimenti di preparazione: kaiten, tenkan, evasioni laterali e quanto altro.

In effetti, durante l'intero raduno, shihonage sarà la tecnica dominante.

Verrà applicata e studiata anche su katatetori gyakuhanmi, yokomenuchi, ushiro ryotedori, ushiro hijidori, ushiro katadori, ushiro katatetori kubishime.

 

 

 

 

 

 

 

Il lavoro su katatetori aihanmi costituisce la base di molte delle infinite tecniche di aikido, che il maestro valuta intorno alle 1500.

Un numero forse dimezzato rispetto alla didattica originaria, ma che può originare una quantità illimitata di tecniche combinate.

Fujimoto sensei chiede di concentrarsi soprattutto sulla funzione della seconda mano, quella che appoggia sul gomito di uke - o comunque sul braccio - e ne condiziona la posizione, la distanza, la postura ed in definitiva anche l'atteggiamento mentale.

 

 

 

 

 

L'inversione della posizione di questa mano, da honte (palmo verso l'alto) a gyakute (palmo verso il basso) permette il passaggio dalla esecuzione di base di shihonage e tecniche correlate a quella di base di kotegaeshi e tecniche correlate.

Naturalmente possono o debbono cambiare anche i movimenti di evasione, un ashisabaki laterale prepara ad esempio l'esecuzione di ikkyo.

Il maestro insisterà spesso sulla necessità di apprendere anche a solo il corretto movimento del corpo, e sulla indispensabile collaborazione tra i praticanti per progredire assieme nella tecnica.

La sua raccomandazione è che debbano essere i principianti ad andare a cercare gli yudansha, per essere guidati nella pratica, acquistare piacere nella pratica ed essere poi in condizione di accettare ogni tipo di pratica, anche diversa, ncercare addirittura con gioia la diversità.

Fujimoto sensei ha voluto dare una forte identità alla sua scuola.

Le sue lezioni mattutine si alternano a quelle pomeridiane degli insegnanti e degli assistenti che lo hanno sempre seguito.

Li elencheremo seguendo l'ordine delle lezioni.

Emilio Cardia.

Quarto dan.

Responsabile del dojo Aikikai Corsico (Milano), ed assistente del maestro Fujimoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Travaglini.

Sesto dan

Responsabile del dojo Aikido Fujinami (Bologna)

Responsabile dei corsi di formazione per l'insegnamento ai bambini presso l'Aikikai d'Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Foglietta.

Sesto dan

Responsabile del dojo Renbukai che ha sedi a Rimini e a Pesaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche gli esercizi di ginnastica costituiscono una parte molto importante del suo allenamento.

Qualcuno si stupirà allora di sapere che nel corso del raduno li ha affidati spesso ai suoi assistenti (nella foto Laura Benevelli, 2. dan), e a volte anche a degli allievi di grado kyu.

Ma non è una contraddizione: è la prima pietra nella costruzione della didattica di Fujimoto, chiunque abbia intenzione di seguirla deve necessariamente memorizzarla e comprenderne prima possibile la logica.

Avere una forte identità di gruppo, ben riconoscibile e ben definita, non impedisce di accettare linee didattiche differenti, ne è anzi un presupposto indispensabile: la consapevolezza di se stessi consente di accettare il proprio prossimo.

Sono stati ospiti del raduno, e hanno condotto due belle ed intense lezioni, i maestri Eamonn Devlin e Janet Clift.

Eamonn Devlin ha iniziato la pratica dell'aikido nel 1982 al dojo del Trinity College di Dublino, in Irlanda.

Dal 1986 ha seguito l'insegnamento del maestro Katsuo Chiba, che i più anziani tra i praticanti italiani ricordano sicuramente e che da molti anni insegna nel suo dojo di San Diego, negli Stati Uniti.

Dal 1990 vive ad Atene, in Grecia, ove dirige diversi dojo tra cui Aikido Athens.

 

 

 

 

 

 

Janet Clift ha iniziato ancora giovanissima l'aikido nel 1980 a Chester, in Inghilterra, spostandosi alcuni anni dopo a Londra per seguire l'insegnamento del maestro Minoru Kanetsuka.

Ha vissuto per 4 anni a Tokyo, ove ha seguito soprattutto i maestri Yamaguchi, Arikawa, Osawa ed il secondo doshu Kisshomaru Ueshiba, si è poi spostata a San Diego per praticare con Chiba sensei.

Dal 1997 vive ad Atene, insegna presso il dojo Aikido Athens ed ha diretto spesso raduni in vari paesi d'Europa, tra cui Austria, Germania, Svizzera e Spagna.

 

 


Fujimoto sensei non manca di richiamare l'attenzione dei praticanti sullo stretto legame che corre tra le tecniche di aikido e le antiche tecniche di maneggio della spada, retaggio della classe samurai.

La stessa distinzione tra lato tagliente - ha - e dorso della lama - mune - trova applicazione nelle tecniche a mano nuda, ove sono frequentissime le operazioni di "taglio" e altrettanto frequenti le necessità di sottrarsi al taglio dell'avversario o fermarlo.

Notoriamente non esistono avversari nell'aikido, si lavora assieme per contribuire ad un obiettivo comune, ma ciò non toglie che le tecniche vadano eseguite con rigore e rispettandone i principi di base.

 

Queste escursioni nel millenario passato del Giappone sono spesso occasione anche di digressioni del maestro su vari temi correlati.

Tali informazionii, oltre a integrare la didattica fino a divenirne talvolta elemento essenziale, sono altrettanto interessanti che le spiegazioni tecniche.

Queste lezioni sono pervase dal sottile fascino del sapere tramandato da tempi lontani, attraverso la trasmissione diretta da maestro a discepolo.

 

 

 

 

 

Fujimoto insiste ugualmente sulla necessità di avere ben chiare, scolpite nella mente e nel corpo, le linee direttive lungo le quali eseguire le tecniche.

Questo concetto tornerà poi nella illustrazione dei movimenti di base derivati dalla spada: kokyu tenkan, prima nelle due direzioni, poi nella forma shihogiri (quattro direzioni), infine in quella happogiri (otto direzioni).

 

 

 

 

 

 

 

 

Il corretto movimento del proprio corpo, l'adeguamento alle linee guida, permette di rimanere costantemente focalizzati sul proprio uke.

Questi viene al contrario guidato lungo direttrici ove la sua forza - le sue intenzioni offensive al limite - non siano utilizzabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora di più, devono essere condotte su posizioni ove siano funzionali e non antagonistiche al movimento ed alle intenzioni di tori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lavoro che il maestro richiede ai praticanti è indubbiamente affascinante, ma tutto si può dire tranne che sia semplice.

Eppure può essere alla portata di tutti: ci si può arrivare, e ci si arriverà prima con un impegno comune.

Tori ed uke - l'avevamo sentito molte volte ma qui Fujimoto chiede di metterlo in pratica, ora e subito - devono diventare le due facce di una stessa medaglia.

Ancora più innanzi nella ricerca: gli uke, lo ripeterà spesso ai volontari chiamati a colalborare alle sessioni di esami, devono porsi l'obiettivo di donare la loro energia alla persona con cui stanno lavorando.

 

 

Questa energia, questo dinamismo, verrranno poi restituiti ad uke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scopo può essere quello di una proiezione.

Le proiezioni dell'aikido sono apparentemente drammatiche, ma ogni praticante sa quanto possa essere in realtà piacevole ed appagante la sensazione di essere proiettati, sottratti ai vincoli della forza di gravità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più spesso l'energia del sistema tori-uke viene incanalata per indirizzare l'uke al suolo, in una posizione in cui cessi di essere un pericolo e venga agevolmente controllato.

Il maestro raccomanda di curare in modo scrupoloso la chiusura di ogni tecnica.

E' il momento forse più importante, sicuramente è quello che può invalidare anche quanto di buono fatto in precedenza.

 

 

 

 

 

 

 

Possono terminare con un kime (controllo) a terra anche le tecniche di proiezione.

Nella immagine precedente abbiamo infatti visto la fase finale di un kotegaeshi.

Vi terminano sempre le tecniche che costituiscono il kihon (la base, il nocciolo duro, dell'aikido).

Vengono anche definite come il gokyo (le 5 tecniche) e di conseguenza numerate in giapponese: ikkyo, nikyo, sankyo, yonkyo (nella foto) e gokyo.

 

 

 

 

 

 

Nella didattica dello ushirowaza (tecniche su attacco da dietro) nella presa ai polsi il maestro mostra - ed ovviamente richiede - entrambe le manovre canoniche.

Dapprima quella in cui le braccia di tori si estendono verso l'alto, "richiamando" uke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La seconda in cui un effetto diverso - ma analogo nel richiamare ed attirare uke - si ottiene portando le braccia verso il basso, ruotandole contemporaneamente verso l'interno fino ad avere i palmi in posizione esterna, rivolti verso il basso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta fatto questo, il modo con cui si sceglierà di concludere la tecnica ha minore importanza.

Verrà il più delle volte da solo, come logica conseguenza, va comunque eseguito rigorosamente.

Per tutta la durata del raduno verrà in ogni caso richiesto sempre un lavoro costante e concentrato sulla base.

Soprattutto ikkyo (foto), nikyo, sankyo, yonkyo e gokyo per il kimewaza, poi kotegaeshi, shihonage e kaitennage per il nagewaza.

 

 

 

 

 

Lo studio degli attacchi con arma - qui viene utilizzato il tanto che replica il pugnale giapponese con lama ad un solo filo e punta acuminata - aiuta ad indentificare le linee dell'attacco ed obbliga a rendere più coerenti quelle di difesa.

Questo sia che si intenda accompagnare l'energia di uke, unendovi la propria, mentre il corpo esegue opportune manovre di evasione.

 

 

 

 

 

 

 

Sia che si preferisca, per ulteriore precauzione, bloccare decisamente l'azione di uke senza tuttavia rinunciare affatto al movimento di evasione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'utilizzo dell'arma evidenzia anche le direttrici energetiche delle successive tecniche che porteranno alla immobilizzazione, od in alternativa alla proiezione, nonché all'indispensabile disarmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludiamo queste parte della cronaca, lunga ma inadeguata a rendere conto pienamente di tutto l'insegnamento ricevuto, con la stessa tecnica che conclude tradizionalmente le lezioni di aikido: ryotetori kokyuho suwariwaza.

Anche in questo caso, ma ovviamente con le relative differenze e gli opportuni adattamenti, il maestro dimostra e dettaglia come ci siano due metodi basici di esecuzione della tecnica.

Uno che porta le braccia verso il basso, con un movimento di rotazione in senso opposto a quello eseguito su ushirowaza.

 

 

 

 

L'altro con il classico movimento delle braccia verso l'alto.

 

 

 

 

 


 

Quando si parla di esami è quasi sempre per fare il resoconto di una strage annunciata, di una sessione di esami dove i candidati che hanno superato la prova sono stati pochi, e pochissimi quelli che dichiarano di averne comprese le ragioni.

A Laces come già detto non è andata così: 37 promozioni su 37 candidati, e non per una particolare condiscendenza palesata dal maestro Fujimoto.

Chi più chi meno, ognuno al suo livello di maturità, tutti coloro che hanno affrontato la prova l'hanno fatto con coscienza e con serietà.

Vale la pena di parlarne ancora, di rifletterci: quali sono le ragioni per cui questa sessione ha avuto una riuscita così clamorosa?

 

Va sicuramente riconosciuto a Fujimoto sensei una grande sensibilità nel dirigere il lavoro di tanti candidati.

La suddivisione dell'esame in diverse giornate ha permesso a molti di riflettere sugli errori commessi, tecnici o psicologici, e di correggere man mano il tiro.

Quante volte, al termine di un esame più o meno riuscito, lo ripercorriamo passo passo rendendoci conto di quello che avremmo potuto fare meglio, di quello che non avremmo dovuto fare, di quello che invece abbiamo colpevolmente omesso?

 

 

 

 

La possibilità - anzi la necessità, pur non percepita come tale - di continuare fino all'ultimo, di prolungare la tensione della prova fino a stemperarla per farla divenire una "semplice" ora di allenamento in più.

Ebbene, tutto questo ha fatto una notevole differenza.

Fujimoto è stato anche molto esplicito nel dichiarare i suoi scopi, nel dettagliare cosa stava chiedendo e cosa invece non era necessario mostrare.

 

 

 

 

 

 

Tecnicamente ha voluto richiamare tutti ai principi di base, chiedendo solamente di misurarsi con il kihon, ossia con le tecniche di base.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non vi è stata differenza di richiesta ai vari livelli.

Quello che veniva domandato a livello 1. kyu era praticamente quello che veniva domandato anche a livello 4. dan.

Quello che doveva necessariamente cambiare ed essere pubblicamente manifestato era il grado di raggiungimento interno e di maturità - non meramente fisica, non freddamente tecnica - raggiunti del candidato.

 

 

 

 

 

 

 

Per questo, al termine delle impegnative prove. il maestro ha chiesto che la parte essenziale della prova di esame venisse ripetuta da alcuni insegnanti di alto grado: per poter verificare in tempo reale quali fossero le differenze di esecuzione e di atteggiamento mentale tra il praticante ancora ai primi passi e chi ha già percorso un lungo cammino nell'arte.

Piernicola Vespri

Dojo Aikikai Karalis di Cagliari

 

 

 

 

 

 

 

Nel corso dell'esame, come anche nel corso dell'intero raduno, l'abbiamo già detto, il maestro ha continuamente richiamato gli uke ad una corretta interpretazione del proprio ruolo, privo di compiacenza verso l'esecutore della tecnica, ma comunque sempre propositivo, collaborativo.

Il recepimento di questa richiesta ha permesso a tutti i candidati di lavorare nel migliore dei modi, e sentendo meno la fatica è stato loro più agevole conformarsi ai gesti tecnici richiesti dal maestro.

Roberto Travaglini

Dojo Aikido Fujinami di Bologna

 

 

 

 

Che ha voluto precisare comunque di non voler richiedere un annullamento della propria personalità e un appiattimento delle differenze naturali nel modo di praticare, ma solamente un serio impegno per la comprensione di quanto mostrato nel corso del raduno.

Anche qui, chi più chi meno ma tutti comunque a livelli dignitosi, esaminandi e praticanti hanno saputo lavorare seguendo le linee e gli esempi proposti.

Ruben Viloria

Dojo Aikizendo di Roma

 

 

 

 

 

Ha certamente giovato al coinvolgimento generale di ogni partecipante al raduno, fosse o no impegnato negli esami, anche la decisione del maestro di adottare per gli esami la rigida ma stimolante procedura tradizionale: si può assistere solo dal tatami, e vi si assiste integralmente senza arrivare in ritardo od andarsene in anticipo.

Non va naturalmente taciuto che le condizioni di salute del maestro, che non permettono al momento di fare previsioni certe sulle evoluzioni future, hanno avuto un un ulteriore importante ruolo nello stabilirsi di una buona atmosfera.

Puo' sembrare triste constatare che solo delle circostanze avverse abbiano avuto il potere di ridestare sentimenti ed atteggiamenti positivi, ma forse non lo è: è nei momenti meno facili che occorre dare il meglio di sé.


Abbiamo appena descritto, sperando di essere stati chiari ed esaurienti, cosa si è fatto. Rimane da dire - ed è forse la cosa più importante, come si è fatto tutto quanto.

Abbiamo anche sottolineato in apertura che il raduno è stato intenso ed impegnativo, al di sopra certamente della media. Questo non significa che l'atmosfera ne abbia risentito.

Ovviamente è stata necessaria una dose di concentrazione superiore al consueto, ma in cambio si è anche ottenuto nel "piatto" una dose abbondante.

E concentrarsi in un lavoro serio non richiede necessariamente atteggiamenti seriosi, non è necessariamente pesante.

I volti dei praticanti intenti a decifrare le richieste e le spiegazioni di Fujimoto sensei non denotano un eccesso di tensione, ma solamente una serena, doverosa concentrazione.

E' scontato che la didattica dell'aikido, con le sue innumerevoli variazioni, aiuta il praticante a tenere sempre piacevolmente desta l'attenzione.

Tutte le tecniche ad esempio, anche quelle di base che per necessità di cose richiedono un numero elevato di ripetizioni, possono essere esaminate da molteplici angoli di vista.

Qui vediamo il maestro Fujimoto mostrare come sullla "madre di tutte le tecniche", katatetori aihanmi ikkyo, si possa lavorare in differenti posture e a differenti livelli di altezza.

Chudan (livello medio).

 

 

 

 

Jodan (livello alto)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed infine gedan (livello basso).

Questi tre esempi non sono naturalmente esaustivi.

Se vi aggiungessimo ancora le posizioni laterale alta (hasso) e laterale bassa (waki gamae) avremmo verificato la possibilità di lavorare nell'aikido con posture e livelli identici a quelli previsti nel lavoro con la spada.

Ma anche queste sono mere spiegazioni tecniche. Il "segreto" della buona atmosfera - riscontrata da chiunque abbia partecipato al raduno - ha spiegazioni forse meno agevoli da esporre, forse ardue da dimostrare dati alla mano, che pure sul tatami sono apparse tangibili.

Era innegabile una certa tensione all'inizio della pratica: il maestro aveva dovuto annullare gran parte dei suoi impegni, e le notizie sul suo stato di salute erano vaghe e nel complesso poco confortanti.

A chiarire le zone d'ombra ha provveduto lo stesso Fujimoto sensei, con disarmante sincerità e con assoluta serenità.

Il momento è per lui difficile, sarebbe sciocco negarlo, ma anche, per quanto possa sembrare paradossale, interessante.

Il maestro ha usato esattamente questa parola per descrivere le reazioni inaspettate del suo corpo alle terapie, ma crediamo di non essere troppo lontani dal vero affermando che l'intera - drammatica - situazione venga da lui affrontata, vissuta, conservando lucidità, compostezza, e perfino forse la curiosità di chi viene sottoposto ad una prova imprevista ed impegnativa ma decide di farvi fronte.

La serenità mostrata da Fujimoto sensei nella settimana di Laces ha contagiato tutti i praticanti.

E' rimasto solamente, a segnare quella settimana, il ricordo di una intensa, proficua e piacevole pratica dell'arte che amiamo.

I problemi della vita certamente rimangono, non vengono superati automaticamente come per magia, ma il giusto atteggiamento mentale e l'abitudine al lavoro, accettato con piacere ed affrontato con serietà, mettono l'essere umano nelle migliori condizioni possibili per affrontarli.

Di più: la sensazione di fare parte di un gruppo umano che condivide un ideale di vita, che ama lavorare e vivere assieme, è un ulteriore supporto di cui nessuno che l'abbia provato vuole più fare a meno.

Abbiamo citato poco avanti un termine preciso utilizzato dal maestro, ma questo non vuol dire che stiamo ora riportando delle sue frasi, delle sue opinioni.

Non andiamo però lontani dal vero affermando che queste sono le sensazioni che ha lasciato nei praticanti, con il suo esempio e con le sue parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' vero che questo raduno non si era presentato sotto i migliori auspici.

Ringraziamo di cuore il maestro Fujimoto che ci ha idealmente fatto fare un bel tenkan.

Convincendoci, con un sorriso, a guardare con fiducia assieme a lui verso un'altra direzione, verso il futuro.