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Le lezioni del secondo giorno iniziano con una prolungata sessione di ashisabaki, sia in posizione tachiwaza che suwariwaza.

Il maestro osserva attentamente l'esecuzione di irimi tenkan suwariwaza.

L'impressione che si ricava osservandolo è che voglia rendersi conto non solamente del grado di comprensione intellettuale delle tecniche ma anche del modo più o meno naturale in cui vengono messe in atto attraverso il corpo.

 

 

 

 

 

 

Anche quando richiede kokyu tenkan (shihogiri per i mudansha, happogiri per gli yudansha) segue con molto interesse il lavoro dei praticanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solo dopo ritorna il cavallo di battaglia di Asai sensei: katatetori aihanmi ikkyo, questa volta eseguito però con l'utilizzo del jo.

Raccomanda di non mantenere un kamae aggressivo ma anzi di facilitare la presa del jo da parte di uke, rinunciando a ogni velleità competitiva; in questo momento il jo non è un'arma ma un sussidio didattico.

 

 

 

 

 

 

 

 

La velocità non è essenziale in questo metodo di studio, vengono chiamati piuttosto sia tori che uke ad una attenta analisi.

Tori di quanto sta eseguendo e delle conseguenze della sua azione nei confronti di uke, che fa analoghe considerazioni ma dall'altra parte dello "specchio".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella forma ura il maestro propone una forma di irimi tenkan certamente non inedita, ma altrettanto certamente meno usuale di quella classica.

Partendo dalla posizione migi-hamni (destra) il piede sinistro scivola in avanti come di consueto. Segue il kaiten (rotazione dell'anca) ma si arresta quando il movimento ha portato ad eseguire una rotazione di solamente 90 gradi, non i consueti 180.

In questo modo tori si trova ora sulla destra di uke, fuori dalla sua portata ed in posizione ortogonale, ideale per controllarlo.

Uke dal canto suo non vede frenato il suo slancio, che viene anzi amplificato dal movimento circolare del jo.

 

 

Questo movimento, estremamente dinamico, viene utilizzato per portare uke a terra senza che possa opporre resistenza ma anche senza che provi una sensazione di disagio.

Naturalmente questo richiede tempismo e sensibilità da parte di tori ma sappiamo molto bene - o dovremmo sapere - che lo sviluppo di queste caratteristiche è uno degli scopi fondamentali delláikido ed uno tra i più alti.

 

 

 

 

 

 

 

Con analogo ashisabaki ma invertendo il movimento di rotazione iniziale del jo è possibile studiare la tecnica nikyo ura.

Notare coma Asai sensei richieda che uke impugni il jo non alla estremità, la tecnica sarebbe ugualmente possibile ma più difficoltosa e pericolosa per la sua stessa incolumità, ma più all'interno.

Questo tipo di presa viene comunque naturale porgendo il jo nella dovuta maniera.

 

 

 

 

 

 

 

Nella finalizzazione della tecnica, in cui viene eseguito un osae (immobilizzazione) destinato al kime (controllo) di uke, il maestro prescrive di non utilizzare la forza e non concentrarsi sul solo movimento delle braccia o delle mani.

Curare piuttosto la precisione degli spostamenti, le posizioni relative di tori ed uke, applicare energia utilizzando la rotazione dell'anca ed applicarla nel punto di leva avente il migliore effetto.

In questa immagine possiamo apprezzare il fulcro della leva (il punto in cui il jo incontra il piede ed il tatami), i punti di applicazione dell'energia (spalla e mano di uke), i punti di forza cui viene inviata l'energia (anca sinistra e mano sinistra del maestro).

 

 

Ancora il momento in cui, con movimento di irimi tenkan a 90 gradi, ci si porta in posizione ortogonale rispetto ad uke.

Il suo impeto non viene rallentato od ostacolato ma anzi esaltato, attirandolo nel vortice dell'energia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La parte iniziale e quella intermedia non sono dissimili da quelle richieste in ikkyo e nikyo ura eseguiti con il jo.

La conclusione è stavolta dinamica e non statica: iriminage.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se nelle tecniche mostrate prima erano il dinamismo di tori o quello - indotto - di uke a prevalere, in questo momento le due energie si equivalgono e si sommano, generando spontaneamente l'azione che ne consegue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In precedenza il maestro aveva richiesto rigore e controllo, prendendosi tutto il tempo necessario per prendere coscienza dell'esecuzione di ogni tecnica.

Ora lascia spazio alla gioia di sprigionare liberamente la propria energia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' purtroppo il momento conclusivo di una mattinata di allenamento intenso e splendido.

Già tanti anni fa mi venne di commentare che Asai sensei non è un insegnante che distribuisca 'caramelle'.

Richiede molto e non regala nulla.

Una volta però saliti con animo privo di pregiudizi sul tatami ove lui sta trasmettendo la sua conoscenza, se ne rimane conquistati ed avvinti.

E' futile resistere, come lo è quando si ha l'onore di praticare con lui. Sarebbe forse tecnicamente possibile, ma sicuramente autolesionistico, facendo rinunziare ad una grande occasione di crescita interiore.