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di Paolo Bottoni

Certamente: gli esami non finiscono mai. Lo sapevamo già dalla cronaca di Laces 2010. Anche questanno dunque si sono svolte delle intense sessioni di esami, anche questanno di esami si è molto parlato, molto pensato. Molto temuto.

Il maestro Fujimoto aveva voluto precisare nei primi giorni che probabilmente non tutto sarebbe filato liscio come la volta precedente, quando la percentuale dei promossi aveva raggiunto un inedito, visto l'alto numero di candidati e l'importanza dei gradi cui si presentavano, 100%.

Non ho avuto l'impressione che la causa andasse ricercata in un aumentato rigore da parte del maestro, che anzi ha confidato in seguito di avere programmato un esito positivo per tutti i candidati, dovendo purtroppo rinunciare dopo aver scandagliato l'ambiente ed essersi fatto una prima idea - in fondo ci vuole poco - del loro livello di preparazione. Se l'esame dura molto infatti - e a Laces come di consueto il maestro ha voluto che fosse parte integrante delle lezioni e non solamente un momento separato - non è tanto per permettere all'esaminatore di rendersi conto del livello raggiunto dai candidati, ma per permettere a questi ultimi una piena consapevolezza di quanto raggiunto ma soprattutto di quanto ancora manca, se qualcosa manca loro. E nel corso della vita, lo dimostrano gli interminabili esami, qualcosa ci manca sempre per arrivare non diciamo alla perfezione ma perlomeno ad un senso di compiutezza.

Fujimoto sensei ha tenuto a precisare nel corso delle sue numerose quanto piacevoli digressioni che il difficile compito dell'esaminatore, mai esente da errori, viene da lui molto sentito e che non riesce a trovarlo agevole. Ma accetta il dovere di accertare e certificare se il praticante che si presenta davanti a lui sia in condizione di proseguire sul cammino o abbia bisogno di adattamenti, di integrazioni, di correzioni. E' questo fondamentalmente che il praticante gli chiede, ne sia consapevole o meno. Una risposta franca e trasparente è doverosa: lasciar continuare chi si trova sul percorso sbagliato, o non possiede l'attrezzatura necessaria per salire di livello, andrebbe contro il suo stesso interesse.

Nel corso del raduno è capitato sovente allo scrivente di confabulare con il maestro, sia con l'aria assorta di chi sta riflettendo sui massimi sistemi dell'universo sia con quella spensierata di chi sta semplicemente scambiando delle impressioni - apparentemente futili ma ricche di sapore - con un amico di vecchia data.

É certamente passata molta acqua sotto i ponti da quando il maestro ed io eravamo tra i più giovani "addetti ai lavori", adesso che lo siamo un po' di meno, e ci troviamo anzi ad essere spesso i soli a ricordare "quei tempi" il piacere di essere ancora assieme, a fare le stesse identiche cose e con lo stesso identico senso di gradevole tentativo di adempimento ai propri compiti diventa a volte incontenibile ed ha bisogno di essere esternato. O perlomeno non celato.

Questi colloqui, che erano a tutti visibili, ed i frequenti richiami del maestro ad esperienze passate di cui mi citava come attendibile testimone, hanno probabilmente sovrapposto alla mia modesta persona l'immagine di qualcuno che sia addentro ai segreti delle celesti sfere, con cui ci si possa di conseguenza aprire, confidare, alla ricerca di una risposta che è rimasta celata nonostante ogni ricerca.

Non è certamente così, il sottoscritto non possiede le chiavi del paradiso - e neppure quelle dell'inferno - ma non sarebbe giusto disattendere chi mostra fiducia nella propria persona, sarà quindi doveroso che io proponga delle ipotesi, nulla più, di risposta a queste domande.

Non potrò naturalmente rispondere o tentare di rispondere a tutto ed a tutti, ma voglio proporre alcuni "casi" clinici che trovo particolarmente significativi. Vorrei prima ricordare però, e la bella intervista rilasciata in Svizzera dal maestro alcuni anni fa lo spiegherà meglio di ogni mio lungo discorso, che lo studio e a pratica dell'aikido richiedono dedizione ed umiltà, e la rinuncia ad ogni forma di esibizionismo e spettacolo: si rende palese sul tatami, che ci si trovi nel corso di una lezione, di un esame e perfino di un embukai, quanto si è raggiunto. Nulla di più.

Fujimoto sensei non ha lasciato che alcuno dei partecipanti al raduno si sottraesse ad un intenso approfondimento: specialmente gli insegnanti.

Spesso sono stati chiamati anche loro a mostrare le  esecuzioni di una tecnica o di un semplice ahisabaki, e ogni errore, ogni semplice imperfezione, è stata messa in evidenza.

Talvolta sono stati chiamati invece i loro allievi - che chiaramente presentavano i medesimi vizi formali e sostanziali - invitando il responsabile di dojo a identificare i problemi e correggerli sul momento.

 

 

 

Tra gli insegnanti chiamati alla prova, che hanno trovato tutti  difficoltà ad adeguarsi alle richieste del maestro, uno in particolare è sembrato a volte perdersi un po' d'animo, considerarsi 'bocciato'. Grande è stata la sua sorpresa quando invece è apparso il suo nome nel quadro delle nomine apparso alla fine del raduno, e me ne ha chiesto la ragione.

Non posso certamente sostituirmi al maestro, posso solamente azzardare una ipotesi. Nel confermare che non si è trattato di una sorpresa, ero al corrente delle intenzioni del maestro, ipotizzerei che si sia trattato di un memento. Un ammonimento ad evitare cali di attenzione, di concentrazione, di tensione interiore - pur mantenendo adattabilità e rilassatezza mentale - nell'occasione in cui il conferimento di un grado superiore può dare invece una pericolosa sensazione di appagamento.

Un altro praticante, presentata la candidatura per la promozione ad un grado impegnativo, ha ugualmente avuto problemi a mostrare in pubblico una corretta esecuzione degli ashisabaki così come prescritti dal maestro, che chiamava avanti gli yudansha invitando i mudansha (gradi kyu) ad osservare.

Dopo avere finalmente memorizzato la corretta procedura, nel corso dell'esame è caduto di nuovo nello stesso errore, senza essere più in grado di correggersi anzi andando sempre più in confusione di fronte agli inflessibili richiami di Fujimoto sensei.

La sua autofiducia ne è stata incrinata, e la prosecuzione stessa dell'esame da lui messa con me in discussione. É indubbio che si sarebbe trattato di un errore, ma non è facile accertarlo ed accettarlo quando ci si trova nell'occhio del ciclone. Dobbiamo ammettere serenamente la possibilità dell'errore, e voglio qui ricordare quando citava il maestro Hosokawa a proposito di una delle sue maggiori figure di riferimento, il maestro di spada Nakayama Hakudo. Ogni mattina, sul levare del sole, eseguiva la serie completa dei kata: omori, chuden ed okuden. E sosteneva di non essere mai riuscito nel corso della sua vita, ad eseguirli correttamente. Il nostro candidato è stato quindi invitato a rialzarsi prontamente dalla sua caduta, a risalire immediatamente sul "cavallo" e riprendere il percorso. L'esame ha avuto esito positivo.

Un terzo candidato era molto giovane. Fujimoto sensei ha espresso perplessità sulla opportunità di ammetterlo all'esame e ha chiesto il ritiro della candidatura. Al termine del raduno il ragazzo, visibilmente emozionato, si è recato a salutare il maestro Fujimoto e poi - sorpresa - il sottoscritto.

Essendo stato informato del 'caso' e delle motivazioni che lo hanno portato ad essere tale, ho ritenuto doveroso trasmetterle, così come erano state comunicate a me. É umano e comprensibile che i giovani, le persone che sono maggiormente ricche dell'elemento più prezioso della vita umana - il tempo - abbiano al contrario la sensazione di non poter attendere, di dover fare tutto e subito.

Il maestro Fujimoto tuttavia, che ha in continuazione rammentato l'esigenza rigorosa di pensare ai giovani, di lasciare spazio ai giovani, ritiene che ad essi si debba richiedere un approfondito lavoro di base prima di lasciarli proseguire. Senza delle solide fondamenta si troveranno con gli anni a dover arrestare il loro cammino, a tornare indietro, forse a distruggere quanto già fatto e ricominciare daccapo.

Per quel ragazzo il maestro sperava un cammino lungo e positivo, e per questa ragione, non a scopo punitivo o in conseguenza di qualche errore di impostazione o di esecuzione, gli chiedeva di attendere. L'ho visto rasserenato dopo avere ascoltato questa breve spiegazione. Ne sono felice.

Un quarto ed ultimo candidato apparteneva al dojo del maestro. Che anche tra i suoi allievi più stretti ha dovuto accettare la necessità di giudizi negativi, che aveva sperato di non dover prendere in considerazioe. Ha spiegato ai praticanti che questo gli sarebbe forse costato la fiducia delle persone arrestate nel loro cammino, che forse le avrebbe perse. Ma accettava questo rischio, sperando tuttavia di mantenerne almeno uno. Che ha indicato a tutti, chiedendogli di impegnarsi a continuare, nonostante tutto.

Si tratta di una persona non giovane, che è ritornato all'aikido dopo un intervallo di molti, molti anni. E che effettivamente non è stato immediatamente in grado di accettare con serenità il giudizio, pur aderendo alla richiesta del maestro di non mollare.

Abbiamo voluto parlarne assieme. La mia opinione, su cui ho voluto insistere, è che Fujimoto sensei lo abbia ritenuto in grado di dare - e quindi di darsi - di più. Non si doveva accontentare, non doveva pensare di non essere in grado di dare nulla di più. Se avesse già raggiunto il suo limite allora non ci sarebbe stata ragione di ammonirlo, e certamente avrebbe avuto il suo grado, la sua 'medaglietta' per usare il termine scelto dal maestro.

Ma non si deve contentare di una medaglietta. Anche per lui - da lui - il maestro si attende di più. Gli dò appuntamento ai prossimi raduni: voglio ancora praticare con lui. E, naturalmente, anche con gli altri che sono stati richiamati e corretti nel corso del loro cammino.

E, in quanto a voi che leggete: scusatemi per il fuori programma, e buon keiko anche a voi.